L'ora di Religione

Shoah e Metz Yeghern nei solchi della memoria

“Padre mio, benedici: metti sulla mia testa le tua mani tremanti:/ lascia che dalle tue dita goccioli giù/ la tua preghiera/ venuta dal fulgido altare della tua anima:/ è l'ora finale, benedicimi, padre”. Così l'armeno Daniel Varujan (1884-1915), perito nella deportazione del suo popolo, nei suoi 'Mari di grano' (Paoline). Ora finale e ora di riscatto. Ora che si fa memoria viva.

Vi è stata grande partecipazione e incontro tra diverse memorie alla fiaccolata in ricordo della deportazione degli ebrei di Firenze. Numerose le rappresentanze religiose e significativa tra le altre la presenza al corteo della Comunità armena, a sottolineare il comune impegno per la pace e la fratellanza universale contro ogni odio, violenza, negazione dell’altro.
Dal 2013 la Comunità di Sant'Egidio ha inteso ricordare la deportazione degli Ebrei di Firenze, avvenuta il 6 novembre del 1943, attraverso un pellegrinaggio della memoria nelle strade del Centro storico, con un corteo che quest'anno, da via Guelfa, all'angolo con via San Gallo, ha raggiunto la sinagoga. L'appuntamento, nel piazzale antistante la Chiesa Cristiana Avventista del Settimo giorno, era legato alla presenza, un tempo, in questi luoghi, del monastero di San Basilio degli Armeni.
Molteplici gli interventi che si sono succeduti: dalla presidente della Comunità ebraica fiorentina Sara Cividalli all’esponente armena Fimi Arakelian all’editore Daniel Vogelmann, al pastore della Chiesa avventista David Abiusi e al responsabile della Chiesa ortodossa romena Ionut Coman. Presenti esponenti di diverse associazioni e comunità, come il movimento dei Focolari, l'Amicizia Ebraico Cristiana, l'Associazione di Sant'Ignazio.

A parlare anche Gregory, ucraino che ha raccontato di aver preso coscienza della Shoah proprio grazie al lavoro didattico e di sensibilizzazione sul tema svolto dalla scuola d'Italiano di Sant’Egidio.
Susanna Yengibaryan ha letto un breve racconto scritto per l'occasione da Vesken Berberian, autore, tra l'altro, del romanzo 'Sotto un cielo indifferente' (edito Sperling e Kupfer).
Fimi Arakelian, con Vardan Levoni, ha regalato alla Comunità Ebraica un libro di Arthur Alexanian dal titolo 'Il bambino e i venti d'Armenia' (ed. Ibiskos Ulivieri), mentre Daniel Vogelmann ha fatto dono alla Comunità Armena del volume 'Pro Armenia', voci ebraiche sul genocidio armeno, edito da Giuntina proprio a cento anni dal Metz Yeghern: quattro testimonianze - di Lewis Einstein, André Mandelstam, Aaron Aaronsohn e Raphael Lemkin, coeve al 'Metz Yeghern' - coeve al Metz Yeghern che “ne ricostruiscono la storia, ne chiariscono le peculiarità e ne descrivono gli orrori denunciando le responsabilità con il coraggio di chi non rimane in silenzio davanti all'umanità calpestata e l'indignazione di chi vede il mondo restare inerme se non indifferente davanti al crimine”.

Curato da Fulvio Cortese e Francesco Berti, la prefazione di 'Pro Armenia' è firmata da Antonia Arslan.
Dobbiamo alimentare il ricordo e al tempo stesso continuare a vivere a pieno e con orgoglio la nostra identità. Questa – ha affermato Sara Cividalli – è la strada che siamo chiamati a percorrere in dialogo e sintonia con tutta la società”.

Sono adesso disponibili gli interventi di quella serata, svoltasi il 5 novembre, che vengono riproposti qui di seguito.

L'intervento di Grygory

"Buonasera, mi chiamo Grygory e vengo dall’Ucraina. Sono in Italia da diversi anni e da molto tempo frequento la scuola di lingua e cultura italiana della Comunità di Sant’Egidio. Ogni anno a scuola una o più lezioni vengono dedicate alla memoria della Shoah. Anche nel mio paese avevo sentito parlare della persecuzione degli ebrei. In modo particolare della strage che avvenne nel 1941 a Babij Jar, alla periferia di Kiev, dove in due giorni furono uccisi più di 33.000 ebrei.
In questi anni, vivendo in Italia, ho imparato a conoscere meglio questa storia e penso che sia molto importante tenere viva questa memoria.

Io stesso ho lasciato il mio paese e ogni volta che sento raccontare di tanti uomini e donne che a forza sono stati portati lontani dalle loro case, come gli ebrei fiorentini che oggi ricordiamo, questo per me è una ferita.

Oggi vivo in Europa e, conoscendo meglio la storia, capisco come sia stato importante che in tanti abbiano reagito alla vergogna del razzismo e della persecuzione, mentre, purtroppo nel mio paese all’epoca, si cercava di dimenticare e si viveva come se tutto questo non fosse mai accaduto.
Sono contento di poter partecipare oggi a questa marcia, perché anche io penso che senza memoria non c’è futuro. Solo ricordando possiamo evitare di commettere gli stessi errori del passato e costruire un mondo migliore.

Anche oggi nel mondo ci sono tante guerre e sofferenze e tante persone scappano per cercare un futuro migliore. Con gli amici della Comunità di Sant’Egidio abbiamo iniziato a fare un corso di alfabetizzazione per aiutare un gruppo di profughi. Penso che questo sia collegato al tema di oggi pomeriggio, perché l’Europa che è stata costruita dopo la Seconda Guerra Mondiale ha in sé i valori dell’accoglienza. Credo che tutti possiamo fare qualcosa per contribuire a rendere il nostro Paese e l’Europa intera più umani e accoglienti. Grazie".

L'intervento di Fimi Arakelian

"E’ molto difficile per me trovare oggi le parole giuste nel giorno della memoria della deportazione degli Ebrei di Firenze e nell'anno in cui si ricorda il genocidio degli Armeni. Confrontarmi con la storia del popolo armeno è stato sempre fonte di dolore. Spesso le parole rischiano di banalizzare le atrocità che hanno subìto i nostri popoli. Quindi voglio semplicemente raccontarvi la mia recente esperienza a Yerevan e le riflessioni che ne sono nate.

Il 24 aprile scorso ricorreva il centenario del Mez Yeghern, come è chiamato dagli armeni, cioè 'Grande Crimine'.
Come tutti gli anni la celebrazione prevedeva una lunga camminata che dal centro di Yerevan porta alla vicina collina, dove si trova il memoriale e arde la fiamma eterna. Quest’anno la speciale ricorrenza del centenario ha richiamato da tutto il mondo tantissimi discendenti degli armeni della diaspora, e un fiume di persone, donne e uomini, bambini, ragazzi, anziani e vecchi, è salito in processione sulla collina.
Come già altre volte era successo, dal caldo estivo della vigilia si era passati ad una giornata invernale, con un vento gelido e una pioggia incessante; il mio abbigliamento era inadatto al clima ed ero molto sofferente, completamente bagnata e tremante per il freddo.

E’ stato proprio questo disagio che mi ha fatto riflettere: io sapevo che di lì a poco sarei tornata in un ambiente caldo e accogliente, avrei bevuto qualcosa di caldo e avrei mangiato cibi preparati per me con amore, mentre i miei antenati senza nessuna speranza avanzavano verso la morte, sopportando sofferenze indicibili: camminavano affamati e assetati, pieni di stanchezza, dolore e disperazione, impauriti e soli, senza più una casa a cui tornare. In quei momenti probabilmente non avevano più alcuna speranza.
Ma noi oggi siamo il frutto della speranza che, malgrado tutto, non ha abbandonato i nostri popoli. 
Concludo con la dedica che la pittrice armena Asilva ha scritto su un quadro che si trova nel Museo della Memoria di Yerevan:

Per tutte quelle persone che,

strappate alle loro vite,

esalando il loro ultimo respiro

nella disperazione e nel dolore,

hanno lasciato senza degna sepoltura

il loro corpo esausto alla terra,

e la loro anima alla giustizia del tempo".

Chiudi gli occhi”, di Vesken Berberian

"Ecco cosa mi sono detto prima ancora di accingermi a scrivere questi miei brevi pensieri. Chiudere gli occhi e una cosa che faccio sempre ogni volta che desideri concentrarmi, calarmi nei fatti e, soprattutto, fuggire da un contesto quotidiano che mi distrae e che mi impedisce di rinchiudermi nei miei silenzi. 
Nel buio e nel silenzio, dunque, sono affiorate delle immagini. Immagini che avanzavano con prepotenza e con il saldo intento di impossessarsi del mio campo mentale. Fossi abbastanza anziano avrei detto che erano le reminiscenze di una esperienza vissuta, oppure, delle rievocazioni da, chissà, quale piega recondita del mio passato. Ma non è cosi…

Come ogni erede delle vittime del genocidio armeno, anch’io sono cresciuto con i racconti atroci che compongono un altro quadro dell’Umana Follia. La mia stessa infanzia porta dei segni indelebili di numerose narrazioni, spesso esposte da anziane signore vestite di nero-le vedove armene-, cui unico obiettivo era quello di incuneare nella mia giovane anima una sola cosa: la Memoria.
Oggi, si commemora le operazioni antisemite di Firenze, le razzie, le rettate del 1943 contro gli ebrei che da secoli, oramai, erano perfettamente integrati nella società del capoluogo toscano. Chiudendo gli occhi, come accennavo prima, ho visto le scene: uomini armati in divisa contro i cittadini inermi. Ho visto tutto, come se assistessi alla proiezione di un film di un regista spietato. Ogni fotogramma era intriso di violenza e di crudeltà. Ho sentito il pianto dei bambini, le implorazioni delle madri. E poi, c’erano i spari, il tonfo dei corpi che cadevano esanimi al suolo.
Di seguito, mi sono trovato nel mezzo allo scompiglio: le famiglie che raccoglievano, in fretta e in furia, gli effetti personali sotto la minaccia dei mitra e andavano via, costretti di abbandonare quella casa, grande o piccola che fosse, che custodiva la loro storia, le loro tradizioni…spesso senza la possibilità di accarezzarla nemmeno con lo sguardo per un’ultima volta. Mi sono spinto oltre, sono salito insieme a loro sulle carrozze, carrozze stipate di anime in pena, ho odorato i loro corpi, ho toccato i loro volti ma, soprattutto, ho sentito la loro agonia, il tormento umano di chi non sa, di chi ignora, il proprio futuro e teme il peggio…

Quando le ruote si sono messe in moto, lo ammetto, sono sceso, non ho avuto il coraggio di proseguire con loro.

Io che sapevo, io che conoscevo il loro destino, ma non potevo fare nulla…

Quante vite sprecate, quanto amore sperperato” mi sono detto mentre stavo già sulla banchina e li guardavo allontanarsi… Mi auguro che il fuoco della Memoria arda sempre, e che non si spenga mai".

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