Un’Europa di figli non scartati
Abbiamo bisogno di Papa Francesco per ritrovare il buon senso, per vedere se i padri (e le madri) fanno i genitori dei figli e non il contrario, se il lavoro serve a vivere, se la borsa diventa un rischio per chi la pratica e non la fune al collo di chi, prima indirettamente e poi di colpo, deve diventare vittima della crescita di pochi. E' la rottamazione infelice di chi diventa scarto. Le parole pronunciate da Francesco per il riconoscimento del Premio Carlo Magno pongono un argine culturale al mondo del dopo '89, quello delle speranze tradite e dell'invasione del capitalismo selvaggio (anche nella sua versione “compassionevole”, con bombe, giustificazione della guerra preventiva, chirurgia di chi soccombe nel campo visivo di armi sofisticate) al quale l'Europa ha in parte resistito, ma non quanto basta perché un ragazzo possa guardare con fiducia al domani. L'economia sociale di mercato è stata riproposta come mezzo per la crescita umana, a fianco a una comprensione umana della realtà che incarna le parole del Vangelo (“ero forestiero e mi avete accolto”, ad esempio) nel cambiamento d'epoca che stiamo attraversando. Affrontare l'immigrazione in un modo o in un altro è un banco di prova per cogliere le linee di tendenza con cui gli Stati gestiscono anche le emergenze interne (non proprio, come il Papa auspica, “un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo”) . E' davanti a questo scenario che Francesco ha mostrato linee di risposta e proposta la domanda che sveglia: “«Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà?» . A strade egoistiche che cominciano a sfociare nel nazionalismo, si possono opporre “soluzioni multilaterali” a problemi che sono comuni. Passa per queste vie un destino grande, planetario e benefico del continente.