In dirittura d’arrivo
La telefonata era arrivata di sera. “Buonasera, vorrei parlare con il cardinale Piovanelli”. “Mi spiace, ora sono tutti a mangiare”. “Non importa richiamerò domani. Gli faccia sapere che ha chiamato Papa Francesco”. Stupiti, contenti, gli operatori del convitto ecclesiastico invitarono il Papa ad aspettare solo un attimo, il tempo di creare il collegamento con la stanza al secondo piano, dove il cardinale era ricoverato, dare tempo al rettore don Gabriele Cecchini di raggiungerlo. Cosa si sono detti? Si prova a ricostruirlo, ma quello che è certo è che Piovanelli, ormai allettato e assalito dal tumore, provò grande sollievo da quella chiamata, da quella testimonianza di amicizia, tanto che l'indomani sembrava rinvigorito. Piovanelli sentiva una profonda sintonia con Papa Francesco e “la sua scelta dei poveri e il desiderio vivo di una Chiesa povera” (così aveva scritto scrivendo la prefazione a un libro di don Paciscopi su Facibeni). La telefonata di Francesco era arrivata poco più di tre settimane fa. Ieri, appresa la scomparsa, ha inviato al cardinale Giuseppe Betori un telegramma, riferendosi a un'infermità “vissuta con animo sereno e con fiducioso abbandono alla volontà del Signore... Penso con affetto a questo caro fratello nell'episcopato che ha servito con gioia e sapienza il Vangelo e ha amato tenacemente la Chiesa, ricordandone con gratitudine l'intensa opera pastorale profusa dapprima quale zelante presbitero e vescovo ausiliare e poi come guida sollecita e saggia di codesta arcidiocesi".
L'ultima volta che Piovanelli era uscito era stato il 26 maggio, con l'aiuto della Misericordia, per partecipare alle celebrazioni del Corpus Domini. Da alcuni mesi aveva raggiunto il Convitto. Vi era già stato alloggiato dopo il primo intervento in ospedale, ma poi era stato accolto dalle clarisse. Non gli mancava nulla, “ma ho scelto a un certo punto di venire qui, perché potevo sentirmi meno solo con i confratelli ed anche essere utile”. Ritrovò con piacere mons. Alberto Alberti, mugellano come lui – l'uno di Ronta, l'altro di Firenzuola – e nei loro movimenti interni al convitto, o per la liturgia o per la preghiera serale o per la cena, era Piovanelli a spingere la carrozzina. Gli ultimi mesi della sua vita sono stati spesi nell'incontro con gli altri e nella meditazione della Scrittura (la sua ultima 'lectio', inviata per posta elettronica, è del 24 gennaio) e anche dal letto di infermità contemplava un cartello su cui erano riprodotte le ultime parole di Gesù sulla croce. Nella sua stanza ha ricevuto chi andava a trovarlo fino all'ultimo giorno, magari solo per stare un poco insieme, alternando a un sonno profondo alcune parole di simpatia, una frase. Aveva confidato a due suoi amici: “Per me ora la sola cosa importante è essere offerta”. Venerdì sera la visita del dottor Riccardo Poli, che è rimasto a vegliarlo fino a quando non è nato, poco dopo le 4 del mattino di sabato 9 luglio, alla nuova vita.
Due giorni dopo è stato aperto il suo testamento spirituale, del del quale sono stati letti alcuni passi durante la veglia guidata dal cardinale Giuseppe Betori in Santa Maria del Fiore. E' un canto di gratitudine, sostenuto da una forza mite e tenace espressiva di quella fibra che dice tanto del profilo non solo interiore del cardinale Silvano Piovanelli. Sembra germinato in quella situazione di passaggio, di transito, in cui gli occhi di dentro contemplano gli sguardi degli altri, nelle diverse età: “La maggior parte dei volti che si affollano ora nella mia mente sono già nelle mani di Dio e sto guardando verso di loro, certo che mi vorranno accogliere tra di loro. Ora che sono in dirittura di arrivo però non mi volto indietro se non per ringraziare e corro verso il Signore per lasciarmi abbracciare totalmente da Lui”. Il richiamo alle espressioni, amate, di San Paolo, in particolare della lettera dell'apostolo ai Filippesi, si coniuga al “miserere”, l'invocazione del Salmo 51, che chiude il testamento. “Sono in dirittura di arrivo – scrive Piovanelli - e tutta la mia vita è rivolta verso il Signore, il quale ha riempito la mia esistenza. Lui solo è stato la luce dei miei giorni. Lui solo non ha abbandonato mai per un istante il mio cammino nel tempo. Il Signore ha talmente accompagnato ogni mio passo che non mi sono mai sentito solo ed è proprio Gesù che ora mi apre le braccia. Posso dire che passo dopo passo Lui è stato al mio fianco e ha riempito la mia mente, il mio cuore, tutto di me. Attraverso di Lui ho sentito di essere fratello di tutti gli uomini, particolarmente dei poveri, dei malati e delle persone sole ed abbandonate”.
Tutto è gratitudine e questo grazie è la sua personale eucaristia (letteralmente “rendimento di grazie”) per mettere “tutto nelle mani di Dio”, il grazie “in mille modi”, il ringraziamento per i sacerdoti, tutti, “a cui ho sempre voltuo bene”, dal “caro Vescovo Giuseppe mio successore fino all’ultimo ordinato”. A loro in particolare raccomanda di crescere “nell’amore verso Gesù Cristo e verso i poveri, i malati, i piccoli, gli ultimi. E vogliatevi bene tra di voi”, con il richiamo delle parole di Gesù riportate da Giovanni: “Amatevi come io vi ho amato”. E' il grazie di un “ io curato ed assistito da tanta delicatezza ed affetto”, di un uomo “nato povero e nonostante una vita piena di contatti con tante persone, tante situazioni e nonostante il mio percorso nella Chiesa, sono rimasto povero e quindi non ho nulla da lasciare; ho da lasciare soltanto amore; l’amore con cui ho cercato di incontrare gli altri”.
Questo amore è quello che raccomanda alla Chiesa fiorentina. Se ai presbiteri testimonia di vivere il sacerdozio “proprio come un generoso, totale, entusiasta dono di sé al popolo di Dio, il popolo che il Signore ci ha affidato”, alle persone consacrate, le monache e i monaci di clausura, le religiose ed i religiosi augura che “il Signore sempre più diventi l’unico della loro vita”. Ma lo sguardo di Piovanelli è triplice e abbraccia i laici che sono il popolo di Dio “in mezzo ai quali ho trovato tante tracce di santità, per lo più nascosta ed anonima”; ciascuno pietra viva, ciascuno essenziale alla costruzione della Chiesa, ciascuno invitato a “fidarsi sempre di Dio e guardare a Lui solo per far crescere l’edificio”. Il testamento si chiude con il miserere, la richiesta di avere misericordia di lui, l'amen che è il “così sia”, l'alleluia che è la lode corale a Dio. Tre brevi parole che racchiudono l'offerta di una vita intera.