Chiudere gli istituti, “liberare” gli anziani
C'è una pietra pesante che viene posta davanti all'ingresso di tante residenze per anziani e che li sigilla come in un sepolcro. Va tolta quella pietra. La voce esile degli anziani reclama la nostra attenzione. Loro, le prime vittime del coronavirus, sono per i più, anche per quelli che lo hanno dimenticato, il “primo amore”, la concreta riserva per la sussistenza di tanti figli e figlie disoccupati e al tempo stesso, in modo paradossale e con quella violenza che si esprime con l'indifferenza, la presenza scartata, la stagione da non considerare e anzi da allontanare e talvolta, concretamente, confinata negli istituti, nel tempo “imperfetto”: “ero” quando invece sono ancora, ho un nome e invece sono una stanza o un letto numerato, sono un “passato”.
“Preghiamo... per gli anziani – ha detto il Papa a Santa Marta - specialmente per coloro che sono isolati o nelle case di riposo. Loro hanno paura, paura di morire da soli. Sentono questa pandemia come una cosa aggressiva per loro. Loro sono le nostre radici, la nostra storia. Loro ci hanno dato la fede, la tradizione, il senso di appartenenza a una patria”.
Gli anziani sono lo specchio di dove andiamo e di quel che saremo.
Guardando al panorama complessivo, devono essere garantiti ovunque e a chiunque i diritti alle cure, verificando in particolare le precauzioni, in tutte le rsa, per personale e residenti. Ma c'è un passo più deciso da compiere, anche alla luce di quanto l'Oms ha rilevato sui decessi per Covid avvenuti per il 50 per cento nelle Rsa: chiudiamo gli istituti e riconvertiamo le “macchine” che presiedono alla loro conduzione - sia detto con rispetto per i tanti che lavorano in essi con umanità e professionalità - in un'unità di assistenza domiciliare. C'è una cultura da rifondare sull'età più lunga. Liberiamo gli anziani e facciamoli tornare a casa. I nostri vecchi non devono vivere da soli, non devono morire soli.