Romero, i gesuiti dell’Uca, William e la mezzanotte del mondo
Nella giornata di San Romero, l'arcivescovo ucciso il 24 marzo 1980 a San Salvador, tornano in mente, insieme alla sua testimonianza disarmata, le sue parole puntuali, di quelle che scompongono luce e tenebra, come queste:
““C'è un criterio per sapere se Dio sta vicino o lontano da noi: chiunque si preoccupi dell'affamato, del nudo, del povero, dello scomparso, del torturato, del prigioniero, di tutta questa carne che soffre, ha vicino Dio”.
Mentre si rilegge 'Oscar Romero. La biografia' di Roberto Morozzo Della Rocca (ed. San Paolo), si prende tra le mani anche un nuovo lavoro di Cosimo Scaglioso, 'La Chiesa latino-americana e Oscar A. Romero' (Marcianum press), che oltre al pregio di contestualizzare l'opera del vescovo martire, offre tratti biografici e cerca di ricostruire la ricezione del suo messaggio fino a Papa Francesco. In tutto sei sezioni e un'appendice con alcuni testi di Romero. La prefazione è di mons. Lojudice.
“La narrazione nella sua dimensione storica – spiega Scaglioso - si sviluppa lungo la seconda metà del XX secolo fino ai primi decenni del XXI in una dimensione spaziale che si presenta come una ellissi contenente due fuochi: quello della Chiesa latino-americana e quello relativo alla figura di O.A. Romero che si rimandano l'uno l'altro nella scansione delle sei parti in cui si dipana il tutto con un prima e dopo Romero, al quale è dedicata la quarta parte in particolare”.
Figlio del Salvador è il poeta Jorge Galan (nato nel 1973), che ha espresso efficacemente in 'Mezzanotte del mondo' (Edizioni Fili d'Aquilone, trad. di Alessio Brandolini) il sentire in cui sono immersi tanti suoi connazionali ma potremmo dire, più in generale, quanti oggi sono toccati in Sud America dal legame narcos-amministrazione-militari attraverso il filo oscuro della corruzione: “Ho visto colombe di foschia vagare fra i tuoi edifici,/ ho visto migliaia di uomini cadere in una sola tomba,/ e fiori che vi crescevano sopra/ quando dovremo uscire di nuovo/ e di nuovo aspettare la fine della sera per sapere/ se abbiamo avuto fortuna e possiamo far ritorno/ per cenare mentre parliamo dei morti del giorno./ Questa è la vita che viviamo”. In un'altra composizione parla “il nome che non tornerà a pronunciarsi/ neanche con un sussurro”. Vi sono echi di questa stessa sensibilità anche nel poeta messicano Carlos Higuera e i suoi 'Il paradiso ti nomina' (ed. Ladolfi) e 'Canzoni delle città distrutte' (ed. Letra franca).
In Galan vi sono riferimenti diretti e indiretti a Romero e ai sei gesuiti dell'Uca uccisi il 16 novembre 1989: “"Non parlai degli assassini. Parlai dei corpi/ sotto l'interminabile notte di novembre,/ parlai di sei uomini stesi sulla gramigna,/ parlai delle donne, le due, buttate sul pavimento, / e delle ombre tutt'intorno, sagome/ che persistono sotto il gracchio dei corvi”.
Di grande forza (e disperata resistenza) 'Il ragazzo della croce verde', che proponiamo integralmente:
“Volevi fuggire per una strada che non esiste./ I tuoi piccoli piedi grandi come pugni di api morte/ volevano saltare sulle pozzanghere, o stare in equilibrio/ sul riflesso dì una corda, ma sei caduto/ e il tuo corpo avanzò fino alla tua ombra/ per riempirla con acqua santa come una fonte battesimale./
Freschi falò furono le frasi che gridasti/ cadendo, acqua incendiata su sette penombre./
Sappiamo tutti che vestivi di verde, che sul tuo cuore/
qualcuno ti aveva cucito una croce bianca,
che andavi con altri simili a te a raccogliere i morti/ come i pescatori raccattano insoliti pesci,/
che entrasti nella chiarezza del giorno/ invece dell'oscurità sotto le coperte, che vedesti/ un tremendo respiro farsi uragano e poi grido/ ma che rimanesti in piedi persino un istante dopo/ l'ultimo sparo. E per tutti noi ancora resti in piedi.
So che ti crivellarono alla fine della sera.
E so anche che era un gioco da bambini,/che furono altri bambini coloro che ti spararono,/ e che ti conoscevano dato che ti chiamarono per nome./ E conosco la strada dove accadde, e conosco la misura/ dell'orizzonte implacabile in quello che ancora resiste./
Le giostre hanno smesso di girare./ Tutte le madri meno una sono diventate un singhiozzo./ Tutte invecchiarono tranne quella donna/ il cui linguaggio si è trasformato in una pioggia di marzo./
Quattordici uccelli del malaugurio cantarono/ sul ramo senza cuore che il vecchio vento sfugge,/ quel ramo che fiorisce solo d'inverno./
Bambino più grande della preghiera in cui persisti,/ si è asciugato il mare sulla tua pupilla ancora aperta/ si sono spezzate le sedie della cena dei tuoi quindici anni,/ e dei tuoi sedici e dei tuoi vent'anni,/ i boschi sono precipitati sui loro tronchi,/ e ogni cosa ha taciuto: un minuto spaventoso,/ i volti sono caduti come l'ascia di pietra( sul collo della gazzella, e il giorno è finito.
Sette proiettili come sette maledizioni/ come sette improvvisi uragani assaltarono il tuo corpo./ Sette leonesse grigie per una preda soltanto.
E sconfissero la tua bella volontà./ E parlarono all'orecchio di ciascuno di noi/ per dirci la verità su tutte le cose,
per avvertirci che siamo di nuovo soli/ e mostrarci la fine di una strada/ che non inizia mai.
Riproponiamo di seguito la vicenda di un ragazzo d'oro, William Quijano, ucciso ad Apopa, in Salvador, a 21 anni, nel 2009, che la strada per cambiare continua a mostrarla a tanti che non arrendono.
La Pasqua di William, il ragazzo che sfidava le maras (5 aprile 2012)
William Quijano e i giovani di Romero. Primero Dios (23 marzo 2015)
http://blog.quotidiano.net/brancale/2015/03/23/william-quijano-e-i-giovani-di-romero-primero-dios-5/