Al Re degli indifesi
Col Natale, che viene festeggiato dagli Ortodossi con l'Epifania il 7 gennaio, si è compiuto l'Avvento, l'attesa di qualcuno che è arrivato.
Chi ha partecipato a questa attesa, ha provato forse un'attenzione più profonda alla vita, non piegata al ritmo ordinario, talvolta compulsivo, imposto da tante cose, per cui si corre ma si rimane un po' spaesati, in questo tempo ferito e scosso dalla pandemia e dalla guerra, che è quanto di più lontano da Gesù che ha avuto l'ambizione di portare, riportare e far crescere il Regno di Dio, dove regna non il potere, ma la compassione, la condivisione, un modo di vivere che fa prendere in braccio Dio come un bambino e questo proprio perché viene come un bambino, come un piccolo. Ecco la sorpresa dell' Epifania, letteralmente della Manifestazione: la debolezza è proprio dove uno non si aspetta che sia. E questa debolezza dà un potere vero e disarmato a chi non è potente e non vuol sentirsi tale.
Se tutti gli uomini guardassero gli uni gli altri al bambino che sono stati, ritroverebbero il senso di piccolezza e si disarmerebbero. Si dirà: belle parole, certo, ma sono quelle di cui hanno bisogno i giovani che stanno morendo: al “freddo e al gelo”, come i bambini scomparsi a Pasukoy nel febbraio scorso perché respinti alla frontiera; al telefonino mentre mandano gli auguri a Capodanno e si trovano nel posto sbagliato e al momento sbagliato, come tanti altri sull'altra parte del fronte, e sono considerati – ipocrisia delle parole e della retorica militare degli adulti che mandano a morire i loro cuccioli - “target legittimo”. Ecco Erode che non intende riconoscere il bambino che è tempio di Dio che abbraccia ogni piccolo, come quelli che in queste notti e in questi giorni vivono in terre piene di violenza o sulle imbarcazioni sballottate dalle onde o, ancora, alle frontiere dove si è respinti. Quel bambino che è nato e che si riconoscerà come un senza fissa dimora che non ha dove posare il capo, è un tempio diffuso in tutti coloro che sono indifesi. Ecco l'alternativa che è più grande di un piano strategico o che può ispirarlo: per vincere il virus della guerra, si devono amare i poveri, con nomi, volti, storie, puntuali e precisi, e la guerra impoverisce tutti.
Condividendo la passione di quel bambino per la vita degli uomini, il suo ascolto per le grida che vengono dagli abissi del mare e delle frontiere, dove muoiono tanti migranti, e dal gorgo delle malattie e degli spiriti impuri della guerra, si potrà trovare una strada alla pace in Ucraina e ai conflitti che incendiano tante latitudini del mondo, come il Nord del Mozambico?
Ci sono giovani in Ucraina e in Russia che continuano a portare da mangiare ai poveri e agli anziani e fanno le scuole della pace ai bambini i cui angeli, come dice Gesù nel Vangelo vedono il volto del Padre, il volto di Dio. “Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli” (Mt 18,1-5.10). I poveri e i piccoli hanno insegnato agli apostoli a non ragionare più su chi tra di loro fosse il più grande, a cercare modi per deprezzare perfino i più vicini per porsi al di sopra, ma a servire e a volere bene, a ricordarsi che non si sono chiamati da soli. Potrà essere questa una scuola per chi sente di possedere il mondo?
Re degli indifesi, fa finire la guerra in Ucraina e ogni conflitto, dona la pace al mondo intero, perché tutti ascoltino il grido dei bambini che sale dalla grotta di ogni Betlemme. Diffondi ovunque il Natale vero e disarma i cuori, per un 2023 di pace in Ucraina, nord del Mozambico e ovunque c'è un conflitto.