Il capro espiatorio
E' un meccanismo che ritorna: vedere negli altri il male che non si riesce a vedere in se stessi. Lo si vuole eliminare negli altri, soprattutto quando sono più deboli di noi, con quell'accanimento che rivela una grande volontà di rimuovere il proprio limite personale. Il nostro cuore è spesso adulterato. Dentro di noi portiamo pensieri buoni e cattivi e la nostra memoria “è come scissa in una doppia forma di pensare” (Diadoco di Foticea). Quando avvertiamo dentro di noi un pensiero associato alla violenza è il momento di fermarsi, perché vuol dire che in quel momento le parole diventano pietre che si possono scagliare sugli altri, sulle altre. Gesù nei Vangeli coglie i meccanismi di separazione che ci abitano, ma apre una strada nuova per superarli, per non lapidare nessuno e per non essere lapidati (Gv 8, 1-11). Ma è proprio quel meccanismo violento per cui si fa ricadere sul più debole, un capro espiatorio, il proprio malessere (anche numericamente, uno solo, una sola, rispetto a tanti altri schierati) che dall'adultera verrà trasferito con motivazioni le più diverse su Gesù. Neanche gli accusatori riusciranno a mettersi d'accordo tra loro sulle motivazioni contro di lui, se non su un punto: “Crocifiggilo”.