Libano, confine sud

ABITUIAMO ALLA PACE

 

Ho cominciato con le missioni di pace nel 1998 a Sarajevo, con la Stabilisation Force (SFOR) in Bosnia ed Herzegovina. Ricordo che affrontai quella missione con molto entusiasmo, ma ascoltando i racconti di quella guerra e vedendo da vicino il disastro compiuto, terminai la missione con l’intima convinzione che da lì a poco tutto sarebbe ricominciato. Pensavo tra me e me che non si potevano perdonare a vicenda quelle genti e che una volta che ce ne fossimo andati, ci avrebbero messo un attimo a cercare vendetta. Sbagliavo. La Bosnia, seppur tra mille difficoltà e sicuramente alle prese con gli stati d’animo di una popolazione eterogenea che non può aver dimenticato del tutto, si è rimessa in strada ed ora cammina, non così lontana dall’Europa unita.

Nel 2000 arrivai in Libano per la prima volta. Gli israeliani si erano appena ritirati dalla fascia di territorio libanese che occupavano da quando, nell’82, lo avevano invaso durante l’estenuante guerra civile che lo aveva annientato nelle sue bellezze, nel suo fascino di comunità interconfessionale, per 15 lunghi anni.

Anche da qui andai via, dopo un anno, convinto che a breve si sarebbe riaffacciata la guerra. In effetti qui un qualcosa accadde ancora, nel 2006. Israele entrò nuovamente in Libano ma, con la risoluzione ONU dell’11 agosto del 2006, ci fu l’immediata cessazione delle ostilità con il contestuale ritiro di Israele oltre la Blue line (non è un confine internazionalmente riconosciuto, ma è ritenuta la migliore approssimazione, così come definita dal team di verifica delle Nazioni Unite nel 2000, del confine risalente al 1923 e della linea armistiziale del 1949). E da allora, scaramucce a parte, l’area a sud del fiume Litani non ha più visto guerra…

Alcuni giorni fa abbiamo ricevuto la visita di una università armena. Un ragazzo, sentendo che ero già stato qui altre volte, mi ha chiesto quale fosse secondo me il segreto di una missione di pace come questa. Ho risposto: ”La pazienza!”. E gli ho spiegato di come io mi sia dovuto ricredere, in questi anni di carriera e di missioni, nel mio essere cocciutamente cinico e nel considerare che la pace, se davvero la si vuole, la si fa subito: non è così. La pace, molte volte, arriva dopo un lungo percorso in cui ad essa ci si abitua, dopo averlo fatto con la guerra, senza tutto sommato accorgersene. Il tempo sana le ferite e sopisce i desideri di vendetta alla base di ogni conflitto. Il compito di una buona missione di pace è, forse, proprio questo: fare in modo che il tempo passi e che ne passi il più possibile senza ulteriori massacri. In modo che una mattina, chi vive lì, si possa svegliare e realizzare, quasi sorpreso, che son passati già dieci anni dall’ultima volta che ha visto una guerra e scoprire che… Si è abituato alla pace!

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