Renzi propone, Bersani dispone. Ma perché non possiamo mandare a casa D’Alema, Veltroni e la Bindi?
Non so cosa possiate pensare di Matteo Renzi, sindaco di Firenze, aspirante rottamatore di una intera classe politica, aspirante candidato alle primarie del Pd (ammesso che gliele facciano fare), aspirante vincitore della disfida col segretario Bersani, e poi (in caso di vittoria) aspirante candidato a Palazzo Chigi.
Non so cosa ne pensiate. A molti, con quella sua aria da guascone, sta simpatico (a me è simpatico), tantissimi condividono molte delle sue innovative idee in fatto di politica (io le condivido), a tanti non sta per niente bene perché lo considerano un fautore dell’antipolitica, pur facendo parte a pieno titolo del sistema politico.
Insomma, Renzi, sindaco che sta ridando una luce immensa alla fama della bellezza di Firenze, si può amare, si può odiare, si può affiancare nelle sue battaglie, lo si può contrastare.
Su una cosa penso però che tutti gli italiani di buona volontà dovrebbero trovarsi d’accordo: sulla sua proposta di mandare (o lasciare) a casa deputati e senatori che abbiano già ricoperto tre mandati.
Non mi sembra che quella di Renzi sia una proposta rivoluzionaria: mi sembra solo di buonsenso. Uno sta per un po’ di anni di parlamento, si dà da fare per il Paese (almeno si spera) guadagna quel più che consistente stipendio mensile (comprensivo di diaria e rimborsi vari) acquisisce il diritto al vitalizio dopodiché, dopo tre mandati in cui abbia avuto modo di mettere in mostra le innegabili qualità che l’hanno portato a Montecitorio o a palazzo Madama, può anche tornarsene a casetta propria, tornare a occuparsi di nuovo a tempo pieno del lavoro che aveva messo un po’ da parte per servire la patria. Sarebbe uno scandalo, sarebbe un’offesa, sarebbe una menomazione gravissima per il Paese?
Io direi che sarebbe solo una soluzione sensata. Si favorirebbe, così, non solo un ricambio generazionale, ma soprattutto un ricambio di idee, di energie, di entusiasmi.
Pensate forse che i parlamentari siano d’accordo su questa elementare proposta?
Ma neanche a parlarne. La poltrona è mia e guai a chi me la tocca. Alcuni deputati e alcuni senatori considerano ormai il parlamento come una seconda casa, dove si possono incontrare gli amici di una vita, mangiare a buon prezzo, fare salotto con qualche conoscente, inventarsi qualche pregnante frase ad uso e consumo dei media.
Se non dovessero andare in parlamento, dove mai potrebbero andare? Al bar, ai giardinetti, alla bocciofila? No, no, anche se non c’è più voglia, non c’è più entusiasmo, non c’è più il sacro fuoco di essere utili agli altri, meglio continuare a starsene barricati in luoghi istituzionali e dotati di aria condizionata. E soprattutto a guadagnare uno stonfo di soldi.
Sì, ogni tanto c’è da andare in aula a schiacciare il bottone imposto dal capogruppo, ma rispetto a tutti i benefit di cui godono diciamo che è una scocciatura abbastanza sopportabile.
Tanto per dare un’idea, pensate solo che Giorgio La Malfa (Gruppo misto) e Beppe Pisanu (Pdl) sono in parlamento da 10 legislature, seguiti a ruota a quota 9 da Antonio Del Pennino (Gruppo misto), Mario Tassone (Udc), Francesco Colucci (Pdl). A quota 8 troviamo Emma Bonino (Radicali), Altero Matteoli (Pdl), Gianfranco Fini (Fli) Pier Ferdinando Casini (Udc) Francesco Rutelli (Api). Insomma, c’è gente che è in parlamento da più di trent’anni. Roba da non credere.
Renzi da tempo insiste molto su questa proposta che dovrebbe riguardare l’intero schieramento parlamentare. Ma soprattutto, quando ne parla, lo fa riferendosi al partito di cui (da ex Margherita) fa parte: e cioè il Pd. Anche perché il Pd ha nel proprio statuto proprio la regola invocata da Renzi: dopo tre mandati il parlamentare non viene ripresentato. Articolo dello statuto, va ricordato, che se venisse rispettato avvierebbe tra gli altri ai giardinetti o alle rispettive fondazioni Massimo D’Alema, Anna Finocchiaro e Livia Turco che sono a quota 7 mandati, Veltroni con 6 e qualche altro big ben piazzato nella speciale classifica, tipo Rosi Bindi e Marini.
Non sia mai. E così a quanto sembra, il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, quello che non è lì a smacchiare leopardi, avrebbe già fatto sapere che sono previste una trentina di deroghe al tetto del terzo mandato parlamentare previsto dallo statuto. Così, tanto per salvare i nomi più illustri (e consunti) del partito.
Il che è davvero curioso: hanno fatto uno statuto, lo hanno votato e poi non lo rispettano. Tutto come nella migliore tradizione delle italiche vicende.
E poi dicono che i politici sono preoccupati perché non si rendono conto delle fortune dell’antipolitica, che non sanno spiegarsi i successi dei grillini, che faranno di tutto per riconquistare la perduta stima dell’elettorato…
Facendo così, appunto: non rispettando regole da loro stessi sottoscritte. Tenendo in parlamento gente che ha attraversato ogni stagione, che ha sperimentato politicamente di tutto e di più e che è riuscita nell’arduo compito (perché rispetto ad altri siamo un Paese ricco di risorse; basti pensare al patrimonio artistico) di portarci quasi al punto di non ritorno.