L'Italia sulla luna

Ma i perdenti del Pci potranno mai diventare Democratici?

“Noi dobbiamo essere il Pd, non la minoranza. Una minoranza deve innanzitutto aspirare ad essere  una maggioranza”.

Si può sintetizzare in queste parole l’alto significato della riunione fatta dalla minoranza del Pd in un teatro di Roma, proprio mentre a Torino Matteo Renzi, il segretario del partito, apriva la campagna elettorale dei democratici in vista delle elezioni europee e di alcune tornate amministrative.

Faceva una certa impressione vedere impilati nel teatro romano tanti personaggi della sinistra che, insieme al “nemico” Berlusconi, sono quasi riusciti a portare l’Italia alla bancarotta: da D’Alema a Cuperlo, da Bersani a Epifani, dall’anziano Reichlin  (immaginate voi, ancora lì a testimoniare) al giovane Fassina, da Chiti (ideatore di un disegno di legge sulla modifica del Senato completamente diverso da quello presentato dal governo) a D’Attore.

Tutti ex comunisti della prima, della seconda e dell’ultima ora che da un po’ di tempo amano tanto farsi chiamare democratici ma che nell’anima sono e saranno sempre comunisti. Personaggi che pensano di essere solo loro depositari delle idee di sinistra, che pensano di essere unici portatori sani dell’unica idea che hanno dell’essere di sinistra, la loro.

Gente a cui non è riuscito niente di quello che si era prefisso entrando in politica (l’esplosione del fenomeno Berlusconi non è forse dovuto ai disastri fatti fino a quel momento dalla sinistra?), gente che ha perso elezioni a ripetizione, gente colpevole di tradimenti vari (Prodi) e incredibili accordi (bicamerale), gente a cui (per arrivare ai giorni nostri) non è bastato uscire sconfitta da democratiche primarie, gente a cui dà fastidio immenso vedere il partito tornato a livelli di gradimento persi da tempo immemore, gente a cui non basta essere favorita alle prossime elezioni.

No a loro, ai Reichlin, ai D’Alema, ai Cuperlo, ai Bersani non basta tutto questo: con l’arrivo di Renzi sulla ribalta nazionale hanno perso gran parte del loro potere, della loro visibilità , della loro autoreferenzialità e non possono mettersi l’animo in pace.

Non possono stare fermi per un giro o due a vedere cosa succederà e di cosa sarà capace il nuovo leader che ha vinto le primarie a suon di voti, non possono astenersi dal mettergli i bastoni tra le ruote del rinnovamento, devono cercare di buttare tutto all’aria, cercare di bloccare il nuovo che avanza, devono cercare di far saltare il banco nel tentativo di mantenere intatti tutti i loro privilegi. Per far vedere che esistono ancora, che sono vivi e lottano ancora insieme al Pci.

Insomma questa uscita romana della minoranza Pd con tanto di dibattito ad oltranza su tutti i mali del governo Renzi è sembrata a tanti (anche a me) un siluro senza precedenti contro la leadership del giovane premier, impegnato a Torino, a cinquecento chilometri di distanza a portare acqua al mulino del partito. Un’uscita davvero infelice che non potrà non influire sui futuri rapporti fra Renzi e la minoranza, fra tanti elettori moderati e i rappresentanti dell’ala più oscura e ormai fuori dalla storia del Pd.  

L’Italia ha bisogno di stabilità, ha bisogno di un periodo di tregua per tentare di uscire dalla palude della crisi e tentare quelle riforme presentate da Renzi e apprezzate nelle intenzioni da tanti potenti dell’Europa.

Dev’essere proprio la minoranza del Pd, deve essere proprio quella minoranza che vuol farsi maggioranza, devono essere proprio quegli ex comunisti di lungo corso che sembrano non avere ancora rinunciato alla falce e al martello a rischiare di fare precipitare un’altra volta l’Italia nel caos più profondo?

Ah, se Renzi riuscisse a rottamarli tutti.

   

 

 

 

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