L'Italia sulla luna

La scorta-taxi di Scajola, la bicicletta di Marco Biagi sotto i portici di Bologna

Quando indagano, processano, condannano un parlamentare o un manager pubblico, dovremmo sempre indignarci. E dovremmo sempre manifestare il nostro più profondo disagio su internet, sui giornali, in piazza. Il disagio nei confronti di un Paese dove sembra che il malaffare sia la regola (a cominciare dall’enorme evasione fiscale) e i comportamenti onesti un’eccezione.

Invece, diciamo la verità, ormai abbiamo quasi fatto l’abitudine al rapporto tempestoso e pressoché quotidiano fra magistratura e colletti bianchi, tra corruzione e normalità. Chi hanno arrestato oggi? Ah, sì, hanno arrestato Tizio, ma era tanto che gli stavano dietro. Chi è scappato oggi? Oggi è toccato a Caio, prima di andare a finire in galera ha pensato bene di rifugiarsi all’estero. E oggi chi hanno inquisito? Hanno inquisito Sempronio, ma robetta. E poi tanto oggi un rinvio a giudizio non si nega a nessuno. Anzi, per certi parlamentari è quasi un fiore all’occhiello avere a che fare con la giustizia, fa fico, fa punti e poi possono sempre dire di essere perseguitati dalle toghe rosse.

Un ventina d’anni fa, allo scoppio di Mani Pulite, si rimaneva veramente sbigottiti davanti alla corruzione che albergava fra i politici, gli imprenditori, certi cosiddetti servitori dello Stato. Oggi è più annacquato. Lo sdegno, non la corruzione.

Eppure non posso negare che l’arresto di Claudio Scajola, parlamentare di Forza Italia, ex ministro prima dell’Interno e poi dello Sviluppo economico in un  paio di governi Berlusconi, mi ha davvero particolarmente colpito (e con me, a giudicare da infiniti commenti, tanti altri italiani).

Perché come molti ricorderanno nel curriculum di Scajola ministro ci sono anche due dimissioni. Una più recente, legata alla vicenda della casa con vista Colosseo compratagli “a sua insaputa” da un imprenditore edile finito in carcere. E una, datata 2002, legata alla vicenda del giuslavorista bolognese Marco Biagi.

Al professor Biagi, consulente del Welfare, che si stava occupando della modifica dell’art.18 dello statuto dei lavoratori, minacciato più volte dalle Brigate Rosse, il ministero dell’Interno guidato da Scajola aveva deciso di togliere la scorta armata. E a nulla erano valse le preoccupazioni più volte manifestate da Biagi per la propria vita.

Il giuslavorista, la sera del 19 marzo del 2002, di ritorno in treno da una lezione a Modena, venne ucciso a Bologna dalle nuove Brigate Rosse sotto casa, in via Valdonica, dopo aver appoggiato al muro la sua bicicletta con cui aveva fatto il tragitto stazione-casa.

Dolore immenso per l’omicidio compiuto dalle Br a sangue freddo, mentre il professore stava per salire le scale di casa. Rabbia e polemiche. E una domanda: sarebbe successo se Marco Biagi avesse avuto ancora la scorta?

Pochi mesi dopo, Scajola, in visita ufficiale a Cipro, parlando con alcuni giornalisti, ebbe a definire Biagi “un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza”. Si scatenò giustamente un finimondo che portò alle dimissioni di Scajola.

Da quel momento tutte le volte che vedevo (e vedo) nei tg o sui giornali il ghigno antico di Scajola accoppiavo (accoppio) la sua immagine alla foto della bicicletta di Marco Biagi appoggiata al muro.

Scajola, ora in carcere a Regina Coeli, è accusato dai magistrati di aver favorito di latitanza di Amedeo Matacena ex deputato di Forza Italia (condannato in via definitiva per associazione mafiosa e scappato a Dubai) e di concorso esterno in associazione mafiosa. Ma i magistrati vogliono chiarire anche se Scajola, potentissimo nella sua Liguria, abbia usato impropriamente la sua scorta per ingraziarsi la moglie di Matacena, Chiara Rizzo, una delle signore più belle di Montecarlo, dove risiede. Dicono che Scajola potrebbe avere usato la scorta come taxi per la signora verso la quale voleva essere tanto ma tanto gentile. 

Agenti spediti a Montecarlo per portare a spasso la bella e bionda lady champagne, da due giorni anche lei in carcere, dopo essere stata arrestata a Nizza.  La scorta dell’ex ministro usata come taxi.

E a pensarci, davanti agli occhi mi torna ancora l’immagine di quella bicicletta sotto i portici di Bologna. La bicicletta di un professore minacciato e ucciso dalle Br al quale, chissà perché, era stata tolta la scorta.        

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