Poveri italiani, travolti giorno dopo giorno da una montagna di numeri contraddittori
Nella bella intervista che Maria Teresa Meli ha fatto ieri sul Corriere della Sera al premier Matteo Renzi, fra le tante interessanti cose, c’era un passaggio che mi ha particolarmente colpito.
Renzi dice ad un certo punto: “L’Italia è più forte delle paure dei vari osservatori e i dati lo dimostrano”. E l’intervistatrice interloquisce: “Be’ tutti i dati no”. E il premier ribatte con tono, immagino, piuttosto deciso: “Ogni giorno ci sono istituti che sfornano montagne di dati e ognuno legge quelli che vuole. Qualcuno poi si è accorto che nell’ultimo mese c’è stato un aumento di oltre 50 mila posti di lavoro? No, perché com’è naturale, fa notizia l’albero che cade e non la foresta che cresce”.
Ora, perché questo passaggio mi è parso parecchio interessante? Non certo per profondità filosofica del pensiero, ma proprio perché anche a me è capitato da alcuni mesi a questa parte di interrogarmi sulla massa di dati che ogni giorno ci viene propinata da istituti vari: oggi, ad esempio, è la volta dell’Istat su quanti sono i poveri in Italia, l’altro giorno non ricordo chi diceva che stanno aumentando sui conti correnti i risparmi delle famiglie italiane, poi c’è Bankitalia che dà i suoi numeri, poi c’è il ministero dell’economia, poi ci sono altri ministeri a fornire cifre, poi c’è la Bce a fornire la sua interpretazione, poi c’è l’Europa con tutti i suoi leader, poi ci sono i vari istituti di sondaggio, poi ci sono le associazioni di categoria, poi i sindacati. Per arrivare alla fine a dover sorbirsi le conclusioni di riunioni nelle case del popolo e nelle sciagurate assemblee di condominio.
Una montagna di dati, di numeri, di previsioni, di proiezioni, di introspezioni, di analisi e sedute analitiche che giorno dopo giorno si riversano nelle letture e sulle spalle del povero cittadino indifeso che alla fine non ci capisce più niente.
Basta leggere un giornale, basta consultare internet, basta comprare settimanali anche specializzati, basta seguire uno degli infiniti talk show che riempiono le nostre giornate (ora molto meno, i conduttori sono tutti in vacanza a godersi le loro ferie) per perdere totalmente la trebisonda.
E non sapere davvero più in che Paese vivi, qual è la situazione reale del Paese. Situazioni del tipo: stiamo affondando, ci stiamo salvando andando verso riva, abbiamo l’acqua alla gola ma a portata di mano c’è un salvagente? E via interrogandosi. Nessuno, a seguire il dibattito quotidiano, sa come sia realmente la situazione.
E’ giusto tutto questo? E’ giusto essere travolti giorno dopo giorno da una montagna di dati che alla fine nel cervello si mescolano tutti in una ribollita fatta da milioni di ingredienti anche contraddittori?
Certo, in base ai dettami della democrazia e della trasparenza per tanti anni auspicata è giusto che sia così. Che ognuno possa fornire i propri dati, le proprie cifre, le proprie idee, le proprie considerazioni, le proprie deduzioni, le proprie induzioni. Insomma è giusto, in teoria, che ognuno dica la sua.
Però, avvertenza al cittadino comune come me, è giusto anche diffidare di tutti questi fornitori di servizi e di opinioni: perché certamente tra loro ci sono anche quelli che diffondono dati solo per fare del terrorismo psicologico, per interesse personale, per tirare un siluro al governo o alle opposizioni, per sparare una cannonata verso gli industriali o verso i sindacati, verso i banchieri o dirigenti delle varie associazioni di categoria.
E allora come ci si può difendere da tutto questo? Qual è il vero antidoto alla funesta malattia provocata da numeri infiniti? Si possono saltare tout court tutti gli articoli che riguardano argomenti del genere oppure si può dedicare la nostra attenzione solo ai dati forniti da personaggi e istituzioni di cui ci si fida.
In alternativa a tutto questo ci si può fidare solo del parere di quei consumatori che intervistati al mercato di frutta e verdura ti raccontano se le zucchine oggi costano più o meno di ieri.