L'Italia sulla luna

Berlusconi, Ruby, Renzi: sentenze e questioni morali

“Ma come – mi dice un amico in vena di provocazioni – dopo tutto quello che hai scritto su Berlusconi, su Ruby, sul bunga bunga e tutto il resto, ora non scrivi nulla sul fatto che il Cavaliere è stato assolto in appello dalle accuse di concussione e prostituzione minorile?”.

Certo, ma cosa dovrei scrivere? Che dal 2010 (anno in cui avvennero i fatti costati a Berlusconi sette anni di reclusione nel processo di primo grado) ad oggi è cambiata l’interpretazione sulla “concussione”. E che nel frattempo sono stati modificati anche alcuni risvolti del reato di prostituzione minorile (nel 2010 un imputato poteva difendersi, come ha fatto Berlusconi, asserendo di non essere stato a conoscenza dell’età della ragazza con cui si intratteneva, oggi non è più possibile).

Ecco, l’ho scritto, quindi capitolo chiuso. Anche se, al di là degli aspetti giudiziari, resta sul tappeto la questione morale. Ma questa è un’altra storia.

Così come, secondo me, non c’entra nulla la storia che l’assoluzione in appello di Berlusconi sia il frutto di una sentenza “politica”. Il Cavaliere, questo l’assunto di vari commentatori, sta dando aiuto al premier Renzi a fare le riforme di cui il Paese ha assoluto bisogno e di questo i giudici hanno pensato bene di tenere di conto.

Non sono d’accordo. Per me non era una sentenza politica quella emessa nel giudizio di primo grado e che ha gettato Berlusconi in un decisivo cono d’ombra, così come non è politica la sentenza di queste ore che ha riportato un gran sorriso al Cavaliere e il clamoroso (almeno per lui) convincimento che “la maggioranza dei magistrati è equilibrata”.

La giustizia, per quanto riguarda il caso Ruby, ha fatto il suo corso e l’avvocato del Cavaliere, il geniale Franco Coppi, ha ottenuto un altro clamoroso successo.

E già che siamo in argomento, a proposito di giustizia e giudici, vorrei anche aggiungere che sono rimasto sorpreso dal duro attacco portato dal Pm antimafia Nino Di  Matteo nei confronti del premier Renzi.

Di Matteo, nel corso della celebrazione della ricorrenza della strage di via D’Amelio, in cui ventidue anni fa persero la vita Paolo Borsellino e cinque componenti della sua scorta, ha detto: “Oggi un esponente politico, dopo essere stato definitivamente condannato per gravi reati discute con il presidente del Consiglio in carica di riformare la legge elettorale e quella Costituzione alla quale Paolo Borsellino aveva giurato quella fedeltà che ha osservato fino all’ultimo respiro”.

Un attacco duro nei confronti di Berlusconi ma soprattutto di Renzi, impegnato da pochi mesi a salvare il salvabile di questa povera Italia, che Di Matteo si sarebbe anche potuto risparmiare. Perché il magistrato dovrebbe sapere bene che nel nostro Paese non c’è nessuna legge che impedisca ad un condannato anche in via definitiva (com’è Berlusconi per frode fiscale) a continuare ad essere il leader di un partito molto importante con cui devi per forza fare i conti se vuoi fare delle decisive riforme condivise.

Il Pm, per difendere il suo intervento e il suo attacco a Renzi, potrà sempre appellarsi alla “questione morale”. Ma come insegna la storia italiana in politica la morale è sempre una merce difficile da trattare.    

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