L'Italia sulla luna

No, non è possibile che l’Italia sia una repubblica fondata sull’art. 18

Non molti giorni fa un eminente commentatore di un eminente quotidiano chiedeva incredibilmente al premier Renzi di fare nomi e cognomi di quelli che si oppongono alle riforme che l’ex sindaco di Firenze vuole varare quanto prima.

Basta guardarsi un po’ in giro e i nomi e cognomi di quelli che non vogliono che cambi qualcosa in questo disastrato Paese sono sotto gli occhi di tutti. Non c’è bisogno di grandi sforzi per inquadrarli.

Date un’occhiata al dibattito sull’articolo 18 dello statuto dei lavoratori (quello che protegge il dipendente dal licenziamento senza giusta causa) che sta surriscaldando l’Italia e vi renderete conto di chi sono quelli che si battono perché niente cambi. Che niente cambi per conservare i privilegi.  

Il premier Renzi che quell’articolo dello statuto dei lavoratori vuol modificare in una maniera o nell’altra (al termine di un dibattito parlamentare o con decreto) ha contro un’infinita di soggetti da non credere. Gente che sull’art. 18 tenta di imbastire uno scontro ideologico.

Ha contro, tanto per cominciare, la minoranza del suo partito, il Pd, che guidata dal perdente smacchiatore di giaguari Bersani sta riorganizzando tutte le sue componenti (dalemiani, bersaniani appunto, civatiani, bindiani, lettiani e qualche altro gatto sciolto) per opporsi al disegno del segretario del partito nonché presidente del Consiglio Renzi.

Incredibile. Tutti personaggi (giovani a parte) che hanno contribuito a fare dell’Italia quella che è oggi (un Paese invivibile, insopportabile, dove nulla funziona e dove nessun investitore straniero vuol venire ad investire) e che ora hanno da alzare la voce per contrastare il nuovo che avanza.

Oltra alla minoranza del Pd (e che si spera resti minoranza per parecchio tempo) ci sono i sindacati, i signori della Cgil, Cisl, Uil. Signori che con tutti i loro totem come l’art. 18 e tutte le loro fantascientifiche regolamentazioni sono riusciti a creare, insieme a qualche bell’illuminato politico, non milioni di posti di lavoro ma milioni di disoccupati che da tempo, con le loro drammatiche vicende,  affollano le cronache quotidiane.

Anche loro, i signori del sindacato, hanno il coraggio e la sfacciataggine di alzare la voce, di mettere paletti, di minacciare scioperi generali se non saranno accolte le loro proposte. Hanno difeso il lavoratore fino all’eccesso, hanno difeso posizioni spesso indifendibili, hanno difeso assenteisti, finti malati, finti lavoratori, nullafacenti, furbini e furboni ma col loro tetragono oscurantismo non sono riusciti a difendere il lavoro.

Eh no, i signori del sindacato non chiedono scusa per tutto ciò che non sono riusciti a fare, non chiedono scusa per tutti i loro errori, non chiedono scusa per non aver saputo adeguarsi alle nuove situazioni ed aver per tempo intrapreso strade nuove per trattare le questioni del mondo del lavoro. No, hanno assistito passivamente alla chiusura di migliaia e migliaia di fabbriche, alla perdita di milioni di posti di lavoro senza mai chiedersi se questi disastri potevano essere stati causati anche dai loro comportamenti.  E ora sono ancora lì a discutere.  

Non mancano poi all’appello tanti altri pronti ad immolarsi nella difesa dell’art. 18, come se fosse l’ultimo baluardo della nostra democrazia: quelli di Sel  scatenati col loro leader Vendola, e quelli che, come i grillini e i leghisti, hanno tutto l’interesse perché le cose governative precipitino.

Renzi da parte sua ha l’appoggio della maggioranza del Pd, l’appoggio del Nuovo Centro Destra di Alfano (con l’ex ministro Sacconi), ha l’appoggio fondamentale di quella Forza Italia che ancora segue Berlusconi e della Confindustria.

Ma soprattutto Renzi ha l’appoggio di quel 40,8% di elettori che alle elezioni europee del maggio scorso ha incoronato il Pd come primo partito di centrosinistra in Italia e in Europa. Un 40,8% di elettori che ha votato per il cambiamento, contro una vecchia guardia della politica contraria ad ogni rinnovamento. Un 40,8% di elettori che si rifiuta di credere che l’Italia possa essere una Repubblica fondata sull’art. 18 dello statuto dei lavoratori. 

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