L'Italia sulla luna

Ilaria e Martina, una sorella e una figlia da avere sempre davanti agli occhi

Bisogna davvero essere dei geni (e a Raitre ce ne devono essere parecchi) per piazzare un programma così “difficile” come “Questioni di famiglia” in prima serata di venerdì fra il fortunatissimo “Tale e quale” su Raiuno, “Crozza nel paese delle meraviglie” su La7 e tante altre offerte di leggerezza.

La prima puntata di “Questioni di famiglia”, due settimane fa, ha avuto 500.000 spettatori, la seconda poco meno di 400.000: troppo pochi anche per Raitre. E così il direttore di Rete ha deciso di chiudere il programma.

Cos’era “Questioni di famiglia”? Era il tentativo, condotto dalla giornalista Marida Lombardo Pijola, di indagare sullo stato delle famiglie italiane tradizionali, raccontare le nuove famiglie, portare la testimonianza di varie storie, dare consigli, se possibile. Insomma, una specie di consultorio familiare televisivo. A incontrare persone, situazioni e storie c’erano quattro inviati: Angela Rafanelli, Alessandro Sampaoli, Amir Issaa, Ilaria Cucchi.

Già, Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano Cucchi, quella giovane donna che, col suo carattere di ferro, si batte da cinque anni per conoscere la verità su come sia morto suo fratello, entrato vivo in un carcere dello stato italiano e uscito morto, il 22 ottobre 2009, pochi giorni dopo essere stato arrestato perché trovato in possesso di droga.

Quando Ilaria prende parte a qualche manifestazione per chiedere la verità, gira con una gigantografia del fratello morto: un giovane ridotto ad uno scheletro, con addosso i segni che fanno pensare ad un pestaggio.

Due processi non hanno stabilito chi abbia causato la morte del povero Stefano, la sentenza in appello è arrivata pochi giorni fa. Gli imputati sono stati tutti assolti: medici, infermieri e agenti penitenziari finiti sotto accusa a vario titolo. Ma Ilaria, una sorella che tutti vorrebbero avere, non si è arresa neanche questa volta e non si arrenderà in futuro: vuole la verità a tutti i costi, farà ricorso in Cassazione e nel frattempo ha avuto incontri sia col premier Renzi che col presidente del Senato Grasso che l’hanno rassicurata sul loro interessamento: perché un cittadino, qualunque cosa abbia fatto, non può entrare vivo in una cella dello Stato e uscirne morto senza che nessuno paghi per questo.

La presenza di Ilaria a “Questioni di famiglia” aveva  suscitato anche qualche polemica perché a qualche benpensante era sembrata strumentale per gli ascolti. Gli ascolti sono andati male, la trasmissione è stata chiusa e Ilaria Cucchi entrerà di nuovo in un cono d’ombra. Ed è questo uno degli aspetti di questa ordinaria vicenda televisiva che più disturba: perché la presenza in tv di Ilaria Cucchi era fondamentale per far riflettere milioni di italiani su quello che è successo al povero Stefano, su quello che può succedere  in un carcere italiano, sulla giustizia, sulle responsabilità dello Stato.

La presenza di Ilaria doveva servire anche per mantenere viva la sua battaglia sulla morte del fratello, per tenere sempre accesa una luce sull’opacità che continua ad avvolgere tutta la vicenda. Ilaria è uscita di scena dalla tv  ma di certo continuerà la sua battaglia e noi la seguiremo.

E a proposito di opacità e donne degne di ammirazione mi piacerebbe che i riflettori dei media (ma anche delle coscienze) si accendessero più spesso anche su Martina Giangrande, la giovane figlia del maresciallo dei carabinieri Giuseppe, reso tetraplegico in un attentato a Roma, nell’aprile dell’anno scorso.

Il maresciallo Giangrande in forza al battaglione Toscana di Firenze nella squadra antisommossa, il 28 aprile del 2013, mentre prestava servizio davanti a palazzo Chigi a Roma (proprio mentre il premier designato Letta stava prestando giuramento nelle mani del presidente Napolitano al Quirinale) venne ferito a revolverate insieme ad un altro carabiniere da un uomo (Luigi Prieti) subito arrestato.

Giangrande venne colpito alla colonna vertebrale e da allora è finito su una carrozzina. Dopo diciannove mesi di cure in un ospedale specializzato, pochi giorni fa il carabiniere ha fatto ritorno nella sua casa a Prato. Accanto a lui, che era rimasto vedovo pochi mesi prima dell’attentato, la giovane figlia Martina che non l’ha mai lasciato solo in tutti questi lunghissimi giorni di sofferenza.

Martina, che subito dopo il ferimento del padre prese la decisione di lasciare il lavoro, ha scelto la strada del sacrificio e di dedicarsi totalmente alla cura del genitore.

Ecco, Martina secondo me può essere il simbolo, la testimonial di quanto possa essere dura anche l’esistenza di chi vive accanto ad un rappresentante delle forze dell’ordine, carabinieri, poliziotti, guardie di finanza. Gente che per stipendi non certo adeguati ai pericoli, ogni giorno quando si trova in servizio può andare incontro alla revolverata o alla violenza di qualche malvivente o di chi vuole solo creare l’incidente. Poliziotti e carabinieri che spesso, in caso di manifestazioni, vanno a finire sui giornali, in tv o negli interventi in parlamento solo per essere criticati e censurati. Ricordiamoci anche di loro qualche volta e ringraziamoli per il lavoro che svolgono e per i pericoli che corrono in nome della sicurezza di tutti.  

E le opacità di cui parlavo? Avete più sentito parlare di Luigi Prieti, l’attentatore condannato all’inizio dell’anno a sedici anni di reclusione e dei motivi che lo spinsero a quel gesto? Io no. Preiti è solo un pazzo, un disperato senza lavoro, un  cane sciolto che all’improvviso si mette a sparare contro i carabinieri davanti a Palazzo Chigi? E’ questo o rappresenta qualcos’altro che nessuno ci dice?   

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