Renzi allo scontro finale coi Nietcong del Pd e le loro “sintesi”
La riforma del Senato è approdata in aula a palazzo Madama. E ieri alla prima votazione la sinistra dem ha votato con la maggioranza del Pd contro le pregiudiziali presentate dalle opposizioni. L’esame della contestatissima riforma su cui il premier Renzi gioca molto del suo governo, può così andare speditamente avanti verso altre votazioni. Guardiamo quali sorprese ci saranno riservate oggi.
Ma voi vi rendete conto che la notizia del giorno è questa, che tutto il Pd ha votato nella stessa maniera? Roba da non credere, roba da far sbattere le palpebre ai più politicamente smaliziati: i Vietcong del Pd o meglio i Nietcong (come li chiamo io perché il loro è sempre un “no” a prescindere qualunque sia la proposta presentata da chiunque) hanno votato coi colleghi di partito e della maggioranza che vogliono abolire il Senato elettivo (cosa che a loro non sta bene).
Qualcuno si chiederà? Cos’è stato quello dei Nietcong, un gesto di buona volontà nei confronti del segretario Renzi, un gesto di buona volontà nei confronti di una maggioranza di governo che su questa vicenda potrebbe rovinosamente cadere aprendo la strada a nuove elezioni?
Chissà cosa passa per la testa di quella ventina di senatori formata fra gli altri da Gotor, da Chiti, da Mineo. Ma certo io non scommetterei un cent sulle pacifiche intenzioni di questo gruppetto di dissidenti che non ne vuole proprio sapere di seguire le linee guida del Pd segnate dal segretario Renzi.
L’importante, per loro, almeno stando a quello che è successo fino ad oggi, è non solo mantenere un senato eletto dai cittadini (e questo è il meno), ma cacciare il giovane e superdeterminato Matteo, riprendersi quella “ditta” che sotto la guida di Bersani era arrivata ad ottenere un misero 25% alle elezioni e rimodellarla forse sugli antichi canoni della “falce e tordello”.
E allora perché votare con il resto del partito come è successo poche ore fa? Forse per arrivare alla direzione del partito convocata da Renzi per lunedì sera con in dote un atto di disponibilità con cui magari poter contrattare qualcosa o forse per arrivare prima possibile al voto finale, al redde rationem finale. Dove i Nietcong certamente metterebbero in atto una imboscata pericolosissima.
Tutto o quasi quindi potrebbe decidersi nella riunione della direzione di lunedì sera: guardiamo se Renzi resterà irremovibile sull’art. 2 della riforma del Senato o, se come auspica Vasco Errani, celebre ex governatore dell’Emilia Romagna, anche lui colonna della discutibile “ditta” di un tempo, arriverà ad una “sintesi”.
Il problema è che Errani ha una strana concezione della parola “sintesi”, come ha fatto capire in un suo recentissimo intervento. Ha detto in pratica che in un partito si discute (come se Renzi avesse discusso poco in tutti questi mesi), ci si confronta (come se Renzi non si fosse confrontato fino allo sfinimento) e poi si decide tutti insieme. Aggiungendo (davvero incredibile) che non si può arrivare ad una riunione con un’idea e uscire dalla riunione con la stessa idea. E questo spiega perché in Italia tante cose per tanti anni siano andate in un certo verso.
Quindi se ho capito bene (ma con quelli della “ditta” c’è sempre il rischio di fraintendere) per Errani la “sintesi” cui dovrebbe arrivare Renzi sarebbe quella di rinunciare all’art. 2 della riforma del Senato e esaudire le richieste della minoranza dem che continua a non volerne sapere di essere minoranza.
Penso (spero) che Renzi non arrivi mai ad una “sintesi” del genere. E se la minoranza dem dovesse prospettare ancora la possibilità di una scissione, pace, gli italiani se ne faranno una ragione. Quegli italiani che grazie ad una congiuntura mondiale di cui fa parte anche Renzi, hanno ricominciato a vedere una lucina in fondo al tunnel della crisi.