Se “Mein Kampf” diventa un libro di ricette
La giovane signora, bionda, carina e con figlioletta per la mano, dice al libraio: “Vorrei regalare un libro di ricette, mi pare che si intitoli Mein Kampf”. Il libraio la guarda sbalordito, non si mette a ridere per rispetto e le dice: ”Signora, quel libro è stato scritto da Adolf Hitler parecchi anni fa e magari parlasse di ricette. Comunque se vuole ne abbiamo tanti di libri di cucina”. Fine della conversazione.
Se non mi fosse capitato di assistere alla scena non ci avrei mai creduto. Ma ero presente e ho ascoltato quelle parole di una trentacinquenne (?) bionda, messa bene e con figlioletta per la mano.
Davvero una tristezza. Possibile mai che “Mein Kampf”, saggio di Hitler del 1925 che in pratica getta le basi del programma del partito nazista, possa diventare, nella mente di qualcuno, il titolo di un libro di ricette?
Non voglio dare giudizi affrettati. Anche perché “Mein Kampf” può essere sfuggito all’attenzione, alla lettura (se non del libro almeno di tutte le roventi polemiche che lo accompagnano da sempre) o agli studi di tantissimi.
Ma quando posso non mi perdo la sera verso le sette, su Raiuno, “L’eredità” la fortunatissima trasmissione che ha rivelato al televisivo mondo intero Carlo Conti (ora conduce Fabrizio Frizzi, bravo pure lui). E seguendo quel preserale mi accorgo di quanta ignoranza (in senso etimologico) o disinformazione ci possano essere in giro.
E’ appassionante anche il gioco dell’anno che viene proposto ogni sera. In che anno è successo questo, in che anno è morto quest’altro, in che anno è stato scoperto questo, quand’è che è diventato presidente il tal altro? Il concorrente ha a disposizione quattro anni tra i quali poter scegliere per collocare l’evento e dare la risposta.
Ed è così che si scopre che un’infinità di persone non sa nulla del fascismo che per vent’anni ha condizionato l’Italia, che qualcuno non sa quando è stato ammazzato Kennedy, che qualcuno non sa in che periodo può aver interpretato un film Marilyn Monroe, che molti non sanno niente della prima guerra mondiale, c’è chi non sa la data in cui le donne in Italia hanno potuto cominciare a votare, e chi non conosce il nome del cantante che ha fatto diventare un successo mondiale “Volare” (o se preferite “Nel blu dipinto di blu”).
Un altro gioco appassionante dell’ “Eredità” è quello (quando capita) che ha che fare coi verbi e coi loro tempi. Un mesetto fa mi imbattei in un signore che non sapeva assolutamente quale fosse il passato remoto del verbo cuocere. Senza parlare poi di quando i concorrenti si trovano alle prese con il congiuntivo.
Certamente giocherà molto l’emozione, certamente l’essere in uno studio televisivo, davanti alle telecamere può fare brutti scherzi, di certo qualcuno può essere pesantemente condizionato, ma sono sicuro che tanti di quei concorrenti non sanno davvero niente di quello che gli viene chiesto.
E allora mi domando: cosa ha insegnato la scuola a questa gente che almeno quella dell’obbligo deve aver frequentato? Quali letture anche non impegnative (giornali, settimanali, supplementi, riviste) possono fare nelle loro ore libere, quali programmi televisivi possono seguire nelle loro ore di relax, sprofondati in un divano?
Ognuno è libero di leggere e guardare alla tv ciò che più gli aggrada, ma mi sembra davvero allarmante tutta questa non conoscenza che c’è in giro. Si può vivere solo di outlet, fashion, week end, beauty farm, talent, master chef, fast food, low cost, happy hour, take away, computer, play station, tiki taka, 4 – 3 – 3, 4 – 3 – 1 – 2, champion, premier league, love story, gossip e chi più ne ha più ne metta? Si può sapere tutto di questo e altro e ignorare Kennedy, D’Annunzio, la tragedia di Moro, Totò e Gino Cervi? Evidentemente sì.
Già, dimenticavo: poi nell’etere ci sono quelle strane piazze che non potevano che chiamarsi “social”. Frequentarli di tanto in tanto è puro divertimento soprattutto se uno ha a cuore le sorti della grammatica e della sintassi della lingua italiana. E uno si chiede: ma dove vogliamo andare?
Il dibattito è aperto. E soprattutto, si può programmare un futuro (anche politico, visto che fra poco saremo chiamati a varie consultazioni elettorali) senza avere un’idea forte del passato?