L'Italia sulla luna

Rabbia, insoddisfazione, ma anche invidia: i giovani che hanno tradito Renzi

Leggere  gli articoli del professor Ilvo Diamanti, sociologo, politologo, saggista, editorialista, è sempre di un grandissimo interesse. E di grande interesse è stato anche seguire la riflessione (Repubblica) sul recente voto dei giovani e giovanissimi al referendum del Sì e del No alle riforme sostenute dal governo Renzi.

Diamanti, analizzando uno studio compiuto dall’Osservatorio Demos, di cui ha la responsabilità scientifica, scrive che sono stati soprattutto i giovani a dire No a Renzi e alle riforme. Il picco più elevato (del 70%) è stato raggiunto fra i giovani della fascia 25-34 anni. Alto anche il dato riguardante il No nella fascia tra i 35 e i 44 anni (68%).  Mentre i giovanissimi compresi fra  i  18 e i 24 anni avrebbero espresso il loro gradimento al No solo (si fa per dire) al 57%.

Il No dei giovani il professor Diamanti lo spiega ovviamente con il disagio di una moltitudine che non riesce a trovare lavoro, l’insoddisfazione per certi provvedimenti del governo che non hanno risposto alle pressanti esigenze, le situazioni ambientali (Il No si è rivelato molto più forte al Sud che non al Nord), un tasso di disoccupazione giovanile fra i più alti in Europa.

Tutte considerazioni giustissime che non si possono che condividere. Ma che forse avrebbero avuto necessità di qualche spiegazione in più. Tipo, ad esempio, quella che se il lavoro in Italia non c’è, non è proprio colpa di Renzi che è stato al governo mille giorni avendo trovato da risolvere problemi gravissimi che rischiavano di farci fare la fine della Grecia. Forse il governo avrebbe potuto impegnarsi di più per i giovani, forse il Jobs act avrebbe potuto incidere di più, forse, forse, forse….. E forse sarebbe stato necessario anche ricordare che tutto il mondo a noi conosciuto è da anni massacrato da una crisi che nessuno avrebbe potuto immaginare così lunga e deprimente.

Dallo studio della Demos si è visto che i giovanissimi (chiamiamoli così) sono più propensi dei ragazzi più grandi a dare fiducia a Renzi. Forse perché non hanno ancora avuto l’occasione di avventurarsi nella ricerca di un posto di lavoro e sono pronti a confidare nel fratello maggiore Matteo per risolvere i loro problemi in un futuro prossimo.

Mentre, si è visto, lo zoccolo duro del No è rappresentato dalla fascia 25 – 44 anni.

Dei motivi si è detto, ma è possibile che  siano solo legati alle vicende legate al mondo del lavoro? Siamo sicuri che in quel No non ci siano anche delle componenti psicologiche? Dal professor Diamanti (che stimo e apprezzo) mi sarebbe piaciuto avere lumi anche su questo. Argomento scomodo e spigoloso ma che una volta bisognerà pure affrontare.

Certo, si sa che la maggior parte dei ragazzi è sempre schierata contro l’autorità costituita, sia essa rappresentata da un giovane o da un anziano, sia essa rappresentata da un uomo o da una donna, da uno di destra o uno di sinistra. L’importante è solo e comunque dire no, a prescindere. Sia che la discussione avvenga in una competizione elettorale, sia che avvenga in famiglia. La rabbia tipica del mondo giovanile che si sfoga in qualche modo.

Ma secondo me c’è anche dell’altro.

Mi domando ad esempio: una parte di quei giovani compresi fra i 25 e 44 anni potrebbe soffrire un po’ (tanto) a vedere un loro quasi coetaneo (Renzi ha 41 anni) affermato alla grande, essere protagonista a livello mondiale avendo pochi anni più di loro, con una bella famiglia alle spalle?

Potrebbe essere che in quel loro No c’è una punta di invidia inconfessata nei confronti di uno che in pochi anni è riuscito ad arrivare dove è arrivato pur non provenendo da una famiglia di miliardari? Non sarà che la preparazione, l’impegno, l’energia, la tenuta fisica e mentale di quel giovane uomo possano essere di grande disturbo per una mezza generazione di insoddisfatti, di depressi o di esaltati che pensano che se ci fossero loro al posto di Renzi potrebbero fare di più e di meglio?

Domande che mi frullano in mente da un po’ e alle quali mi piacerebbe avere una risposta da qualche esperto di psiche e comportamenti.

E intanto con la mente vado a quelle ragazze e a quei ragazzi d’America che alle sei del pomeriggio smettono di studiare e vanno a servire in bar e ristoranti. Penso a quel ragazzo che per un po’ di ore si guadagna da vivere aprendo ai clienti che arrivano (o che escono) la porta della banca che l’ha chiamato (e poi va a fare un altro lavoro). Penso a quel ragazzo che per alcune ore al giorno (anche lui prima di andare a fare un altro lavoro) si guadagna da vivere, in prossimità di una scala, avvertendo gli avventori “watch your step” (attento allo scalino). Per tanti giovani italiani sembrerà strano, ma anche quelle sono maniere per cominciare a misurarsi con qualcosa, a guadagnare qualcosa, ad affrancarsi dalle paghette di genitori e nonni.  

 

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