La mafia uccide e sbeffeggia la memoria di Falcone. Mandiamo l’esercito in Sicilia
“Nei delitti di mafia di casuale non c’è mai niente”.
In queste parole del presidente del Senato Pietro Grasso, prima che politico magistrato che per anni e anni in Sicilia ha combattuto la mafia in stretto contatto con Giovanni Falcone, c’è il drammatico riassunto di tutto quello che è successo ieri mattina a Palermo.
Palermo, ore 7,50, nel popolare quartiere della Zisa Giuseppe Dainotti, 67 anni, boss mafioso, mentre pedala in bicicletta viene ammazzato con vari colpi di pistola alla testa da due killer che, a quanto pare, lo hanno affiancato in motocicletta.
Dainotti, storico esponente di Cosa Nostra, già braccio destro del capomafia Salvatore Cancemi, era stato condannato all’ergastolo per aver ucciso un capitano dei carabinieri e vari altri reati. Dopo ventiquattro anni di carcere era stato rimesso in libertà nel 2014. Da tempo i capimafia avevano deciso la sua morte perché “quello fa tragedie e va eliminato”.
E quando è stata eseguita la sentenza di morte? Proprio alla vigilia delle celebrazioni del venticinquesimo anniversario della strage di Capaci dove la mafia con 500 chili di esplosivo fece saltare in aria, sull’autostrada che dall’aeroporto di Punta Raisi porta a Palermo, le auto con Giovanni Falcone, magistrato leader della lotta contro la mafia, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta Schifani, Dicillo e Montinaro.
La mafia, dopo anni di “silenzio”, è tornata ad uccidere. Avrebbe potuto uccidere Dainotti in galera o in uno qualsiasi di questi tre anni che ha trascorso in libertà. Avrebbe potuto ucciderlo come e quando voleva. Ha aspettato l’anniversario della morte di Falcone, ha aspettato il giorno in cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, fratello di Piersanti, il presidente della Regione Sicilia ucciso dalla mafia nel gennaio del 1980, ricordava a Roma la strage di Capaci, la figura di Falcone e delle altre vittime.
Già, nei delitti di mafia non c’è mai nulla di casuale. E allora con quest’azione, che non è certa avvenuta per caso alla vigilia delle celebrazioni in onore di Falcone, che cosa ha voluto dimostrare la mafia? Che è ancora potente, che è ancora capace di sparare e uccidere quando vuole, cosa ha voluto indicare alle istituzioni?
Domande senza risposte. Però sono convinto di una cosa: che lo Stato ora non può fare finta di nulla, che lo Stato deve reagire a questa provocazione nella maniera più determinata.
Magari anche inviando l’esercito in Sicilia.
Qualcuno come al solito dirà: sì, ma in uno stato democratico non si può usare l’esercito come forza di polizia, e altri benpensanti diranno che tanti anni fa è già stato fatta questa operazione con scarsi risultati. Ognuno è libero di pensarla come più gli aggrada.
Per me (ma penso per tanti altri come me) il presidente Gentiloni dovrebbe convocare nel giro di poche ore il consiglio dei ministri e decidere di inviare in Sicilia alcune migliaia di soldati. Per mettere alle strette la mafia, per paralizzare ogni attività illegale, in modo che a Palermo non possa essere servito neppure un caffè senza scontrino.
E forse dopo anni, anni e anni lo Stato potrebbe finalmente arrivare a beccare anche il capo dei capi della mafia, il superlatitante, superprotetto, Matteo Messina Denaro.