Alle elezioni ci sarà un partito nuovo: il Pd finalmente senza D’Alema
Il Popolo del Sì ha celebrato il 4 dicembre con grande rammarico. E come dimenticare lo smacco subito un anno fa al referendum costituzionale? Non bastarono tredici milioni e mezzo di voti, non bastò il 41 per cento dei consensi per varare le riforme portate avanti da Matteo Renzi e dal suo governo. Riforme fondamentali per dare un volto nuovo e più moderno all’Italia.
Si sa tutti come andò a finire quella consultazione: vinse la triste e variegata accozzaglia che andava da Casapound ai comunisti, passando ovviamente attraverso Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, e i famosi traditori del Pd (D’Alema, Bersani e altra compagnia per niente bella) che di lì a poco avrebbero dato vita alla scissione.
Una sconfitta dolorosa che causò le dimissioni di Renzi da presidente del Consiglio e da segretario del Pd (dopo pochi mesi riconfermato a furor di primarie) e dette vita ad uno sfinente dibattito politico (ricordate quelli che dicevano si risolve tutto in poche settimane?) che in primavera porterà a nuove elezioni.
Una sconfitta quella del referendum che ancora pesa, non c’è dubbio. Ma che a pensarci bene può anche essere stata salutare, può essere stata un bene per il futuro della politica italiana.
Sì perché da quel dicembre del 2016 tante cose si sono finalmente chiarite e potremo andare al voto col Rosatellum con le idee molto più chiare.
All’estrema destra ci saranno Lega e Fratelli d’Italia con posizioni antieuropeiste e piuttosto accondiscendenti verso movimenti sempre più violenti. La grande attenzione a destra sta tutta, al momento, sulle mosse di Berlusconi e della sua Forza Italia che sembra rinata. Cosa farà il moderato Berlusconi, cosa faranno i moderati forzisti? Si presenteranno in coalizione con due esagitati come Salvini e la Meloni che non vedono l’ora di scalzare il Cavaliere, o decideranno di andare da soli e intercettare i voti di chi non gradisce salti nel buio? E’ questa la grande incognita che ci accompagnerà per tutta la campagna elettorale.
Poi c’è il M5S guidato dall’esile Di Maio che sembra essersi messo seriamente a studiare il congiuntivo ma che non riscalda certo i cuori degli elettori. Un movimento che a sentire i bene informati ha gravi difficoltà al suo interno (anche perché come si fa a considerare Di Maio un vero leader?) e composto da gente senza arte né parte (come dice spesso il Cavaliere) e alla quale, sempre il Cavaliere, non affiderebbe neppure l’amministrazione di un condominio. Come dargli torto osservando le condizioni in cui versa Roma, la capitale di uno dei paesi più belli al mondo?
Ma se vogliamo il risultato più clamoroso prodotto dall’esito del referendum si è avuto proprio nel centrosinistra, dove finalmente si è fatta chiarezza, quella chiarezza che tanti elettori aspettavano da anni.
La nascita di un partito (Mdp) che poi si è unito con altri gruppuscoli dando vita al recentissimo movimento “Liberi e uguali” ha definito le posizioni in campo. Quando a primavera andremo a votare non ci saranno più fraintendimenti: da una parte troveremo il Pd di Renzi e dei moderati democratici che vogliono portare avanti il percorso delle riforme. Un partito liberal, aperto alle istanze di chi vuole finalmente cambiare lo stato delle cose, senza steccati ideologici. Quell’idea di partito moderno seminata da Occhetto con la svolta della Bolognina, cresciuta da Veltroni, massacrata da D’Alema, resuscitata da Renzi.
Dall’altra troveremo quelli che guardano ancora al comunismo, i pronipotini di Lenin che festeggiano ancora la rivoluzione russa (anniversario che nel centenario avvenuto proprio pochi giorni fa non hanno celebrato neppure le autorità russe) e che nelle loro riunioni cantano ancora Bandiera rossa. Sconfitti dalla storia e fiancheggiati da un sindacato che ha fatto più danni della grandine, sognano ancora, insieme a visibilità e poltrone, di poter imporre la loro utopia. Liberi e uguali. Incredibile. Chissà se anche tra loro uno vale uno. Lo vedete il pensionato di Centocelle libero e uguale a D’Alema?
Un eccezionale risultato il fatto che il Pd possa non essere più ostaggio (come è successo ad un’infinità di governi) di un partito dello Zero virgola, un grande risultato il fatto che se uno deciderà di votare Pd lo farà sapendo che il suo voto non andrà né a D’Alema né a Bersani.
E allora ribadiamolo: la sconfitta al referendum costituzionale per il Popolo del Sì è sì una ferita aperta ma può aver creato davvero una grandissima opportunità.