Il recupero della Concordia, un miracolo italiano
“Ci vorrà molto tempo prima che il mondo capisca quanto complessa e ben gestita sia stata questa faccenda”” dice Nick Sloane, il capo sudafricano di tutta l’operazione Concordia, la nave in attesa di demolizione ancorata al porto di Genova.
Da una parte la consapevolezza di aver compiuto qualcosa di unico nella storia dell’uomo, non solo in quella dell’ingegneria. Dall’altra l’insopportabile scetticismo di varie voci del mondo parallelo di Internet che chiedono quando giornali, televisioni e web smetteranno di parlare della nave che ha causato la morte di trentadue persone fra passeggeri e membri dell’equipaggio e di un sommozzatore impegnato nel lavoro di recupero.
Certo, la Concordia sarà ricordata per i tanti lutti causati dall’imbecillità umana mista ad arroganza, supponenza, superficialità e quant’altro che la fecero finire sugli scogli dell’isola del Giglio. Ma una volta reso omaggio alla memoria delle vittime, a cui nessuno purtroppo potrà restituire la vita, la vicenda della Concordia dovrà essere ricordata anche come simbolo delle enormi possibilità dell’uomo e di cosa possa produrre l’incontro di tante intelligenze: italiane come quelle del pool di aziende che sono state fondamentali nel recupero della nave e della Protezione civile , americane come quelle della società “Titan”, sudafricane come quelle dell’uomo (Sloane) che ha portato a compimento l’impresa, di tante altre nazioni come quelle di tecnici e sommozzatori che hanno lavorato giorno e notte per due anni e mezzo.
Un’impresa che sembrava impossibile. Un percorso incredibile partito dall’idea di costruire una piattaforma che potesse sostenere la nave adagiatasi dopo il naufragio in bilico su un fianco su uno sperone di roccia che ha impedito l’inabissamento (ma che non si sapeva per quanto tempo avrebbe potuto reggere); dall’idea dei cavi che hanno permesso, poco meno di un anno fa, la rotazione e il raddrizzamento del relitto; dall’idea dei cassoni apposti sui fianchi della nave in modo che potesse rigalleggiare e potesse essere trainata da rimorchiatori dall’ Isola del Giglio fino al porto di Genova, città scelta dopo varie polemiche per lo smantellamento.
Messa così può anche sembrare facile: ma provate ad applicare tutto quello che è stato detto ad un bestione semisommerso, appoggiato su un fianco, lungo quasi trecento metri, largo cinquanta e alto sessanta. Una cosa inimmaginabile. Eppure ce l’hanno fatta.
Gli ultimi giorni, quelli del lungo trasferimento dal Giglio a Genova, per un tratto anche in mare aperto non protetto dalla Corsica e dalle isole dell’arcipelago toscano, sono stati quelli più carichi di suspense: giorni e notti col fiato sospeso perché certo se fosse successo qualcosa di grave sarebbe stato catastrofico per tutti, perfino per il governo che aveva autorizzato il trasferimento al porto di Genova invece che a quello più vicino di Piombino (come chiesto dal governatore della Toscana Rossi) che però non era pronto per ricevere quell’immenso relitto.
E’ andato tutto bene. Tutti, anche quelli che protestano su Internet, dovrebbero essere felici per la conclusione della vicenda. Che dimostra ancora una volta come gli italiani, se esercitano le loro intelligenze, se si impegnano al massimo, se remano tutti nella stessa direzione, sono capaci di qualsiasi cosa. Anche di risolvere situazioni che appaiono irrisolvibili.
Forse è davvero arrivata l’ora si smettere di piangersi addosso e di avere fiducia nelle nostre forze. E di credere nella possibilità di un nuovo miracolo italiano, come quello che ci portò fuori alla grande dalle rovine della guerra.