Quante ingiustizie in nome della privacy
Truffa del Brunello a Montalcino, maxi evasione dell’Iva sul caffè a Roma. Due delle tante notizie del genere, destinate in queste ore ad entrare nella nebulosa dell’informazione, quell’ammasso informe di parole e discorsi in cui è difficilissimo raccapezzarsi.
A Montalcino, in quel territorio magico della provincia di Siena vocato alla viticoltura, si parla di un consulente che sarebbe riuscito a commercializzare – spacciandolo come Brunello e Rosso di Montalcino – un enorme quantitativo di vino di modesta qualità frodando varie aziende della zona. Si parla di 160.000 litri di vino, pari a 220.000 bottiglie. Numeri impressionanti. Provate solo ad immaginare dove possano essere custoditi tutti quegli ettolitri e quelle bottiglie. Si sa che quel consulente è stato indagato per vari reati e che per lui, udite udite, è scattato anche il divieto di dimora a Montalcino.
Si sa anche che la truffa è stata scoperta dalla Guardia di Finanza grazie ad una segnalazione del Consorzio del Brunello di Montalcino che giustamente ha tutto l’interesse a mantenere altissima la guardia su un prodotto che è fra i più conosciuti e apprezzati al mondo.
Per il resto è tutto nebuloso. Nebuloso il nome del consulente, nebulosi i nomi dei suoi complici, nebuloso dove venisse comprato quel vino o quell’uva, nebuloso a chi venisse ceduto, nebuloso con quale etichetta sarebbe stato messo in vendita, nebuloso se quel vino di scarsa qualità era già finito, magari in tempi passati, sugli scaffali di qualche supermercato.
Insomma difficile capirci qualcosa. E non per colpa dei giornalisti che tentano di fare il loro lavoro al meglio. Ma da una parte (nel caso) per colpa della complessità della truffa, da una parte perché in operazioni del genere spesso l’informazione è limitata dalle disposizioni sulla privacy. E quindi il più delle volte le notizie restano in un limbo indecifrabile.
E andiamo a Roma. “Ammontano ad oltre 43 milioni di euro i proventi derivanti dalla vendita di caffè che sarebbero sfuggiti all’imposizione diretta ed a 7,9 milioni l’Iva evasa da undici soggetti economici operanti nel litorale romano, individuati dai finanzieri del Comando provinciale di Roma” recita la notizia che riguarda la vicenda del caffè all’ingrosso. Secondo la ricostruzione della Guardia di finanza “gli affari andavano a gonfie vele e i proventi ottenuti dalla vendita di caffè all’ingrosso erano ingenti al punto di rendere necessario un espediente che permettesse di abbattere gli utili di esercizio - e quindi le imposte – di una nota società romana di commercio all’ingrosso di caffè, rifornitrice di numerosi bar e ristoranti del litorale romano”.
Tutto nebuloso anche qui. Qual è il nome della “nota società romana di commercio all’ingrosso di caffè”? Mistero. Tanti, di certo, sapranno ma non si può dire. E chi sono gli “undici soggetti economici operanti nel litorale romano” che avrebbero evaso bellamente le tasse? Mistero. Anche in questo caso, di certo, tanti sapranno ma non si può dire.
Una legge quella sulla privacy che forse andrebbe rivista in certe parti anche per permettere una corretta informazione al servizio del cittadino.
Se c’è un ristorante che sta per mettermi in tavola un pesce andato a male (e per fortuna scoperto in tempo dai benemeriti del Nas o dalla Guardia di finanza) a me piacerebbe sapere il nome e il cognome dell’oste che attenta alla mia salute e il nome del ristorante.
Se c’è qualcuno che mi vende per italiano un olio fatto con olive che provengono da chissà dove (altro scandalo di qualche mese fa) io vorrei saperlo. Non voglio essere ingannato da etichette messe a bella posta per fregare il consumatore.
Se c’è qualche pescatore che va al largo scongela il pesce congelato e poi lo vende per fresco io (e immagino chissà quanti altri consumatori come me) vorrei avere il diritto di conoscere il suo nome.
E invece, con certe interpretazioni della legge sulla privacy, queste notizie (e tante altre di altri generi che non sto ad elencare) che quasi tutti i giorni affollano giornali e Internet, finiscono inesorabilmente nell’ammasso informale dell’informazione.
Salvo poi trovarsi a leggere nome cognome età ed indirizzo di un povero pensionato che per necessità, solo per necessità, viene sorpreso a rubare una mela al supermercato. In quel caso la privacy è solo un optional.