L'Italia sulla luna

Tolleranza zero: per salvare Roma ci vuole un Rudolph Giuliani

Certo che Ignazio un po’ di confusione l’ha fatta: con la storia delle multe non pagate, con la storia degli autoinviti, con la storia di qualche cenetta a sbafo del Comune. Cose non belle, ma che volete che sia in un Paese dove ci sono ogni anno oltre cento miliardi di evasione fiscale e non frega nulla a nessuno, cosa volete che sia in un Paese dove un giorno sì e l‘altro pure vengono fuori intrecci inquietanti fra mafia, massoneria, politica e mondo degli affari (chi fosse interessato all’argomento può seguire gli sviluppi dell’inchiesta venuta alla ribalta poche ore fa sull’imprenditore trapanese Andrea Bulgarella)?

Intendiamoci, non è con questo che voglia difendere l’operato del sindaco di Roma Marino, perché sono dell’avviso che se uno decide di andare a cena con la moglie è giusto e doveroso che paghi di tasca sua e non coi soldi del contribuente. Però veramente mi fa innervosire leggere e ascoltare le accuse più insensate rivolte al dimissionario sindaco di Roma.

Perché, a mio avviso, deve essere chiaro a tutti che non si può davvero attribuire a Marino, diventato sindaco nel giugno del 2013, se Roma, caput mundi e capitale d’Italia, è ridotta a quella vergogna che si presenta ogni giorno davanti agli occhi nostri e di milioni di turisti. Non è certo sotto la sua sindacatura che si è venuto a creare quel mondo di mezzo dove si incontrano delinquenti e colletti bianchi e che è al centro dell’inchiesta “Mafia Capitale”, non è colpa di Marino se a Roma non funziona niente, non è colpa di Marino se nell’azienda dei trasporti e in quella dei rifiuti ci sono situazioni occupazionali e gestionali incredibili. Non è colpa di Marino se gli intrecci fra malavita, politica, galassie di affari, cooperative di vario tipo e colore si sono piano piano impossessati della gestione della Capitale.

Sono anni e anni che a Roma le cose funzionano così, con sindaci impotenti davanti a tanto malaffare. Un malaffare sviluppatosi grazie alla vicinanza fra delinquenti comuni, delinquenti in completo blu, esponenti della politica, servizi deviati ed altro, che nel tempo ha raggiunto vette tragicamente eccelse.

Qualche esempio? Basta andare a memoria e alla rinfusa per non farla tanto lunga: l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli, la onnipotenza della banda della Magliana, il sequestro Moro, il giallo Kappler, la vicenda di Emanuela Orlandi, l’affare Marcinkus solo per citarne alcuni.

A Roma uno dei capisaldi della filosofia che in tanti seguono pedissequamente è: “Vivi e lassa vive e soprattutto non rompe li cojoni”. Una filosofia de noantri che ha accompagnato i romani per millenni.

Non so se Marino si sia messo di traverso a qualcuno o se abbia rotto a qualcun altro. So solo che non è lui che ha dato il via a tutti i drammi quotidiani di Roma. E non mi interessano tutte le dietrologie politiche che stanno dietro queste dimissioni.

So solo che fa drammaticamente sorridere il totonomi per il dopo Marino, quando presumibilmente si tornerà a votare nella primavera del 2016.

Mi fa sorridere pensare che i problemi di Roma li possano risolvere personaggi come l’imprenditore Marchini, la deputata Giorgia Meloni, il presidente del Coni  Giovanni Malagò o qualche esponente del Movimento 5 Stelle o qualche altro nome della cosiddetta società civile che si affaccerà alla ribalta della cronaca per dire la sua. Roma a questo punto della sua storia, nella situazione in cui si trova ora non ha bisogno (come dicono a Roma) di pannicelli caldi, non ha bisogno di qualche camomillina per tirarsi fuori dalla palude morale e delinquenziale in cui si trova da anni e anni. Ha bisogno di qualcosa di forte, di un intervento che possa riportare le cose al posto giusto.

E allora, nello squallido gioco del totosindaco che ci accompagnerà per chissà quanti mesi, mi ci infilo anch’io e propongo il mio candidato. E’ anzianotto (71 anni) non è cittadino italiano (anche se può essere considerato un oriundo) non si riconosce nel partito democratico perché lui è repubblicano, parla poco italiano ma capisce molto bene le cose; le capisce tanto bene che in sette anni è riuscito a ridare sicurezza e smalto ad una città che, vista la delinquenza che imperava, sembrava invivibile. Qualcuno avrà già capito: il mio candidato per sindaco di Roma è il mitico Rudolph Giuliani, sindaco di New York dal 1994 al 2001. Se oggi New York è quella che è si deve tanto alla sua opera e alla sua celebre “tolleranza zero” nei confronti di chi non rispettava le regole.

Certo da solo Giuliani non potrebbe fare nulla neppure lui. L’altra sera a La7, Francesco Rutelli, già sindaco di Roma, diceva che il nuovo sindaco di Roma dovrebbe arrivare con almeno cento collaboratori di provata fiducia per rimettere in sesto il comune. Penso che anche Giuliani dovrebbe arrivare con un centinaio di collaboratori, qualche migliaio di poliziotti americani, agenti dell’Fbi e della Cia. E con un po’ di giudici che con personaggi come Carminati, protagonista di Mafia Capitale o come quelli della banda della Magliana, o terroristi vari neri e rossi che si aggirano per le strade della Capitale, non dovrebbero andare tanto per il sottile.

Ovviamente la candidatura di Giuliani è una provocazione. Ma sono convinto che Roma si potrà salvare solo con un personaggio che assomigli all’ex sindaco di New York. C’è in Italia? Speriamo di sì e che qualcuno sia in grado di identificarlo. E non mi si venga a parlare di deriva autoritaria, di attacchi alla democrazia, di primati della politica. Oggi Roma, per guarire da tutti i suoi mali, ha bisogno di tolleranza zero. La tolleranza diecimila, usata fino ad ora, ha portato ai disastri di oggi.

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