Sinceramente non immaginavo che il rilancio del golf italiano potesse passare attraverso il catalogo Pantone. Eppure pare che sia proprio così. Si dice infatti che il futuro del green azzurro sarà rosa solo se ci affideremo al Blu Navy dei blazer sartoriali e al Verde Bright dei campi. Questa dunque la magica ricetta messa a punto da alcuni dirigenti di circoli nostrani in crisi di quote associative e dunque di liquidità: club la cui complessa gestione economica quotidiana pare ricordare la spremitura del tubetto del dentifricio quando ormai è arrivato al capolinea.
Ora: pur non desiderando passare per bastian contraria a tutti i costi, in un azzardato paragone mi permetto di sottolineare come la suddetta visione sportiva stia al futuro del golf come lo zucchero filato sta ai denti.
Secondo questi dirigenti illuminati, sarà innanzi tutto l’obbligo della giacca blu in club house a riportare soci e denaro a fiumi nelle casse impoverite del proprio circolo. Un anacronistico ritorno all’Ancient Regime golfistico, una retromarcia verso tempi preistorici da Piccolo Mondo Antico in cui in campo s’indossavano pantaloni tartan e al bar cravatte con stemma nobiliare: questo dunque il programma di rilancio di un club blasonato il cui futuro oggi appare incerto come quello del fax. Muovendosi nella direzione opposta rispetto al resto del mondo che si allinea verso la democraticità di usi e consumi e dove l’utilità ha sostituito lo spreco, i nostri, invece di aprire le porte ai più, le chiudono vaneggiando un “golf caviar” per soli belli, carini ed eleganti.
Che risultati possa portare questa politica in un movimento golfistico da numeri micron come quello dello Stivale, lo lascio decidere a voi. Personalmente mi limito a preferire un club con pochi adulti in cachemire, ma con molti bambini in felpa. Anche perché l’esperienza trentennale mi ha insegnato che i primi a indossare i blazer blu sartoriali spesso sono anche gli ultimi a saldare le quote associative.
Passiamo ora al secondo capitolo: in diversi sodalizi alcuni dirigenti sostengono che per risollevare il capino dal rosso dei bilanci, ci si deve affidare al Verde Bright del campo. Che cioè, solo percorsi dai manti vellutati e brillanti siano in grado di attirare orde di neofiti paganti.
A lor signori mi limito a rispondere con quanto dichiarato in un accorato appello da Gary Player dopo aver assistito allo spettacolo offerto dal campo pubblico di Chambers Bay durante l’ultimo U.S. Open: “Siamo di fronte a una tragedia. Stiamo costruendo percorsi sempre più lunghi, sempre più belli, che hanno bisogno di sempre più acqua, più lavoro e più fertilizzanti. Viviamo in un mondo che soffre per la mancanza di acqua e noi cosa facciamo? Costruiamo campi come Chambers Bay: bellissimi, infiniti, con green ondulati, con bunker ovunque. Ma intanto il numero di golfisti sta diminuendo. L’handicap 16 che affronta un campo così tornerà a casa con uno score di 110 colpi e non sarà un uomo felice. Non ci tornerà più. Dobbiamo invece inventarci percorsi che possano essere giocati velocemente e facilmente, dove gli amateur possano divertirsi e dove i costi di gestione possano essere contenuti. E se saranno campi gialli, persino marroni e non verdi a tutti i costi, andrà benissimo lo stesso”.
Queste le parole di un uomo di 80 anni, che nonostante l’età pensa coniugando i verbi al futuro e che proprio per questo in quanto a modernità intellettuale pare essere anni luce avanti rispetto ai nostri giovani (si fa per dire) dirigenti di club.
Dalle pagine di Golf & Turismo