In campo, esistono momenti in cui la tensione e l’ansia si comportano da tiranni assoluti: sanno benissimo come offuscare e quindi far naufragare anche il ragionamento più semplice.
Succede a tutti, persino ai professionisti del tour.
La differenza sostanziale che esiste tra un ottimo giocatore e un grande campione scorre proprio sulla sottile linea rossa della gestione di quegli istanti: il fenomeno, per intenderci, è colui il quale, seppur avvolto da un velo di disagio, nei momenti di smarrimento sa ricordarsi che in tasca ha pur sempre una manciata di sassolini bianchi di Pollicino necessari per riportare sana e salva la pellaccia a casa.
In questo quadro è evidente che al livello più alto, il golf più puro è un gioco dalla semplicità complicata: sta tutto nel non travestire da timori i propri desideri, ma, piuttosto, nel saper adattare con lucidità le proprie capacità alle tante e diverse situazioni che ci si trova ad affrontare in campo. Ovviamente, il tutto al fine di vederli realizzati quei desideri di cui sopra.
Lucidità, adattabilità e creatività sono perciò tre tra le doti più pesanti che un campione, per essere tale, deve possedere nel suo personalissimo bagaglio: saper affrontare le variabili tecniche e psicologiche del gioco è la qualità regina di un grande giocatore.
Sotto questa luce, le ultime 18 buche messe in piedi nel recente Qatar Masters da Sergio Garcia, sono da premio Oscar: dopo un terzo giro dominato dal vento in cui sul putt il suo solito “pencil grip” aveva ballato più di un Mambo Number Five, lo spagnolo ha deciso di cambiare tutto per meglio adattarsi alle condizioni di gioco.
Adattabilità e creatività, dicevamo: nel round finale del torneo, al fine di riuscire a non far sbandierare la testa del putt tra le folate impetuose del Qatar, Sergio si è dunque presentato in green impugnando nel modo più classico possibile.
Rifiutandosi di omologarsi a quanto era abituato a fare, ma piuttosto ricordandosi di avere dalla sua i sassolini bianchi di Pollicino, lo spagnolo ha sparigliato le sue carte tecniche decidendo di non sottomettersi allo stillicidio psicologico che il vento provava a imporgli in green.
Risultato: un 70 confezionato in condizioni difficili, che, nonostante il terzo giro malandato, gli è valso un ottimo settimo posto (e 50mila euri tondi, tondi).