E’ inutile, non ci si riesce. Le (buone) ragioni di Giorgio Napolitano non sono comunicabili. Ci si può provare, ma sapendo che ad accettarle saranno in pochi. Nell’Italia delle fazioni, resa isterica da una crisi politica cui si somma una crisi economica, non c’è più spazio per la ragione. Figurarsi per la ragion di Stato. C’era un tempo in cui un presidente del Consiglio (Aldo Moro) poteva chiedere al capo di una procura di scagionare dei terroristi palestinesi arrestati nell’atto di abbattere un aereo. E il magistrato eseguiva, perché la politica, quando è tale, risponde a ragioni a volte superiori anche alle leggi. Oggi Moro verrebbe arrestato, Travaglio sul ‘Fatto’ denuncerebbe «l’ignobile tentativo di legare le mani ai giudici», Di Pietro lo accuserebbe d’aver attentato alla Costituzione. I tempi sono cambiati. Lo Stato è svuotato di sovranità, la politica è impotente e alla dittatura dello spread si somma quella di una morale manichea. Dici che per la Costituzione la legge non è affatto uguale per tutti? Ricordi che il capo dello Stato non è processabile né intercettabile come un qualsiasi cittadino? Osservi che rivolgersi ai giudici costituzionali per dirimere una controversia non equivale a fare un «golpe»? Citi le parole con cui il capo della procura di Palermo assicura che il ricorso promosso dal Quirinale non intralcia le indagini? Ti domandi a chi giovi lasciare che uno sconclusionato sospetto travolga l’unica istituzione ancora autorevole? Vergognati! Sei un servo del potere, un «corazziere belante». Di più: un amico dei mafiosi. E allora alzi bandiera bianca, ti metti sulla riva del fiume e rammenti che il giacobinismo dei primi anni Novanta partorì Berlusconi. Chissà a chi toccherà, stavolta… Finalmente sorridi.