Se vanità e sete di gloria sono i tradizionali motori della storia, è stato un errore imputarle ai soli politici. La vanagloria dei professionisti del governo non è infatti molto diversa da quella dei tecnici prestati alla politica e nell’ultima settimana ne abbiamo avuto la prova provata. Di certo c’è solo che dallo scorso novembre la pressione fiscale è cresciuta, tempi e modi dell’uscita dalla crisi sono ignoti, lo spread è stabilmente assestato tra i 400 e i 500 punti, l’economia italiana è in recessione. Non si poteva fare di più, d’accordo. Epperò Mario Monti cambia improvvisamente registro, ostenta ottimismo e i suoi ministri si adeguano abbandonandosi a un florilegio di proposte strappapplausi. Passera lascia credere sia possibile tagliare le tasse persino alle persone fisiche, il suo vice Ciaccia lancia l’idea di defiscalizzare le grandi opere, dopo aver dato il nome alla riforma del mercato del lavoro la Fornero scopre con disappunto l’esistenza del cuneo fiscale, Riccardi annuncia concreti sostegni alle famiglie, la Severino tratteggia la grande riforma della giustizia… Bene, bravi, bis. Poi dai capannoni plaudenti del Meeting di Rimini la scena si sposta ai saloni affrescati di palazzo Chigi e lì si apprende che non ci sono soldi né tempo per dar seguito a tante alate promesse. Un vecchio copione, col ministro dell’Economia Grilli al posto di Tremonti nei panni stretti del Signor No. Oggi come allora, i freddi numeri della Ragioneria generale dello Stato mal si conciliano con la calda retorica dei ministri in carica: l’agenda del governo non cambia, e infatti le 18 pagine del documento con cui s’è concluso il Consiglio dei ministri dedicato alla crescita non contengono novità significative. Non c’è dunque grande differenza tra tecnici e politici, a tutti piace piacere. Verrebbe da rimpiangere i professionisti della materia, non fosse che stanno dando pessima prova di sè. Piccoli calcoli mal si adattano a grandi problemi. Per carità, che l’ipocrisia sia un elemento della politica è cosa nota; ma c’è un limite. E alla sagra dell’ipocrisia di questa fine estate il limite è stato superato. Emblematico il dibattito su elezioni e regole del gioco. L’accordo sulla nuova legge elettorale ancora non c’è, ma tutti dicono che è già fatto. Le elezioni anticipate sono un’assurdo, ma poichè alcuni potentati le desiderano molti fingono di crederci. Agli elettori verrà sottratto il potere di indicare premier e maggioranza, ma tutti giurano sull’esito opposto. Si sa che la logica delle larghe intese dovrà durare, ma quasi tutti fingono di poter vincere e governare da soli. Poi uno stimato costituzionalista, Augusto Barbera, sul Qn indica l’unica via per arrivare ad una riforma organica dello Stato dopo trent’anni di attesa, dando così alla politica la maggior forza possibile: l’elezione di un comitato costituente. Tutti, interpellati, dicono un gran bene della proposta, ma nessuno se la sente di rilanciarla: «non vorrei essere equivocato», «non è il momento», «vediamo prima come si mettono le cose…». E allora, non potendo neanche sognare i tecnici al potere (che già ci sono, e sono simili ai politici) non resta che fingersi marziani e prendersela con la natura umana.