In queste ore i partiti si stanno confrontando su una legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza. Oggetto del contendere è l’entità del premio. Ma a cosa serve un premio di maggioranza? A garantire la «governabilità». Si ‘gonfia’, cioè, il risultato del più votato in nome dell’interesse dei cittadini ad avere un governo stabile fondato su una maggioranza ampia. Ma in questo caso il premio di maggioranza alla coalizione sarebbe irraggiungibile e quello al partito rappresenta solo un modo per convincere il Pd (il più accreditato ad incassarlo) a chiudere l’accordo, pur sapendo che il premio di per sè non gli consentirà di governare: il Pd, oggi, è al 28%, se anche gli venisse regalato un altro 10% sarebbe ancora ben lontano dalla maggioranza assoluta dei seggi. E allora, se la maggioranza e il governo dovranno nascere dal confronto tra i partiti dopo il voto, che senso ha ‘gonfiarne’ uno solo? Meglio che il peso di ciascuno sia quello deciso dagli elettori. Meglio il proporzionale puro, di uno drogato. Ricordando che il premio di maggioranza fu inventato nel ’51 in una Francia politicamente caotica. Se l’aggiudicò una coalizione imperniata su socialisti e democristiani (Pd e Udc, diremmo noi oggi) e non servì a nulla. Non avendo previsto l’indicazione del primo ministro, i partiti si combatterono senza sosta per ottenere l’agognata poltrona, tanto che nei 7 anni successivi nacquero ben 11 governi. Poi, a  riformare davvero il sistema, arrivò  de Gaulle.