Sul finire della sua stagione a Palazzo Chigi, persino Mario Monti ebbe a notare che «il nostro è un Paese complesso. Ci sono troppi apparati che rallentano». Sapeva cosa diceva, il Professore, avendo prudentemente inserito nel suo governo diversi uomini che da quegli «apparati» provenivano. Enrico Letta, suo successore, venerdì ha (ri)annunciato il taglio al doppio stipendio dei ministri-parlamentari. Misura «simbolica», ha detto, per affrontare il problema di «chi ha perso il lavoro». Volesse passare dai simboli ai fatti, volesse non solo allungare uno zuccherino alla Bestia dell’antipolitica, ma raddrizzare davvero il legno storto dello Stato, beh, allora punti al bersaglio grosso: la spesa pubblica. E in modo particolare a quei circa 40 miliardi che ogni anno vengono dilapidati per l’acquisto di beni e servizi. Faccia attenzione, però, perché quel denaro serve a sfamare non solo le piccole lobby ministeriali ma soprattutto le alte, potenti e assai vendicative burocrazie pubbliche. Chiedere, nel dubbio, all’ex senatore Mario Baldassarri. Da presidente della commissione Finanze provò a metter mano al meccanismo con un emendamento, avversato però dal capo del legislativo dell’Economia e dalla ragioneria generale dello Stato, che gli negò la necessaria bollinatura. Non si rassegnò finché alcuni suoi compagni di partito gli dissero di aver ricevuto la minacciosa telefonata di un noto direttore generale di ministero: «Se passa l’emendamento Baldassarri, non ci sarà più un euro per le vostre clientele». Fu allora che Baldassarri capì.