Ci risiamo. Ancora una volta è l’imputato Berlusconi Silvio a decidere le mosse del politico Silvio Berlusconi. Ancora una volta le scelte politiche del Cavaliere dipendono dalle traversie giudiziarie che, ancora una volta, anziché incoraggiarlo ad uscire dal «campo» lo obbligano a rimanervi. Per difendersi dai processi, per riacquistare l’onore perduto. Berlusconi è ‘condannato’ a fare politica. Il paradosso è infatti questo: che se non ci fossero stati i processi, la sua storia politica si sarebbe esaurita già da tempo. E invece no, prosegue. E irradierà pure una luce di stella morta, ma la cacciata dal parlamento lo spingerà sulla riva di un fiume elettoralmente pescoso. Il che, come vedremo, potrebbe rivelarsi la sua fortuna.
L’edilizia, le televisioni, la grande distribuzione, il calcio: la cavalcata imprenditoriale di Berlusconi comincia nel ’61 e, di successo in successo, prosegue senza sosta né macchia fino ai primi anni Novanta. Finché il suo mondo, quello craxiano, reso ‘inutile’ dalla fine del comunismo storico, non si sbriciola sotto i facili colpi di Mani Pulite. Inaugurando l’Euromercato di Casalecchio di Reno, nel novembre del 1993 si spende per il candidato missino a sindaco di Roma. Tal Gianfranco Fini. E il gennaio successivo scende ufficialmente «in campo» per poi vincere le elezioni di marzo. Dice di voler cambiar volto all’Italia, e all’inizio ci crede davvero. Ancora per poco, ma ci crede.
Tutto cominciò con l’invito a comparire comunicatogli a mezzo stampa dai magistrati milanesi  nei giorni in cui a Napoli presiedeva la conferenza internazionale sulla criminalità organizzata. Era il 22 novembre 1994: conseguenze giudiziarie, nessuna; ma di lì a poco il suo primo governo fatalmente cadde. Tutto finisce, oggi, a seguito della sentenza Mediaset. Tra l’uno è l’altro inciampo giudiziario, una valanga di processi senza precedenti. ‘Panorama’ ne ha contati in tutto 34: non c’è ambito della vita privata e pubblica, imprenditoriale e politica di Berlusconi che non sia stato passato al setaccio dalla magistratura. E chi cerca trova.
Nasce così, per condizione data, il celebre «vittimismo» che più volte lo rimetterà politicamente al mondo. Più il presidente Scalfaro gli taglia l’erba sotto i piedi, più lui per tigna coltiva prati nuovi. Più i magistrati lo incalzano, più lui resiste. E rilancia. Ma la faccenda non è più imprenditoriale e non è ancora politica: è giudiziaria. Sì che per meglio difendersi Berlusconi si affida a quella pletora di miti consiglieri e di rampanti avvocati che, come diceva il buon Cossiga, «è all’origine del suo fallimento politico». Perché di fallimento politico si tratta. Ci sono state  splendide rimonte ed eroiche risalite (nel ’95, nel 2001, nel 2006). Ci sono state pacche sulle spalle dei grandi del mondo (l’amico Tony, l’amico George…) e applausi all’impiedi dei congressman americani. Ci sono state guerre chiamate «operazioni di pace» e nobili discorsi emblematicamente pronunciati su macerie fumanti (Onna). Ci sono state rotture poi ricomposte (con Bossi, ad esempio) e ferite mai rimarginate (con Fini, ad esempio). C’è stata l’invocazione di poteri costituzionali necessari al buon governo e c’è stata la rinuncia alle riforme al momento dei referendum. C’è stata l’accettazione del fiscal compact e la denuncia della spoliazione di sovranità da parte dell’Europa. C’è stato tutto e il contrario di tutto. Tutto tranne la politica. E infatti oggi si ritorna al punto di partenza: a Forza Italia e a quella «rivoluzione liberale» mai compiuta.
Epperò, grazie ai magistrati o per colpa loro, ora Berlusconi potrà liberamente sfruttare i venti euroscettici montanti, potrà ergersi a difensore della sovranità nazionale minacciata dai tecnocrati europei e dalla finanza globalizzata, potrà cannoneggiare un governo debole al pari di Grillo e con quella foga che Renzi non può (ancora) permettersi. Se per assurdo, pur essendo fuori dal parlamento e non potendo più ragionevolmente entrare a palazzo Chigi, saprà farlo con ‘stile istituzionale’, c’è da credere che alle prossime elezioni europee andrà molto, ma molto meglio del pur «responsabile» Alfano. Il problema si porrà semmai dopo: che senso politico dare a quei voti?