Fatto! Nell’era Renzi, il governo è costretto allo sprint. È infatti con scatto felino e ansia da prestazione berlusconiana che Enrico Letta ha «abolito» per decreto il finanziamento pubblico dei partiti politici. «L’avevo promesso e l’ho fatto», twitta il premier. L’ha fatto? Mica tanto. Il decreto ricalca la legge  votata dalla Camera e insabbiata dal Senato, che all’articolo 1 proclama: «È abolito il finanziamento pubblico dei partiti». Un falso in atto pubblico. La nuova normativa prevede infatti che ai partiti vada il 2 per mille delle dichiarazioni dei redditi e sgravi fiscali ingentissimi per le donazioni private. Si tratta dunque, e comunque, di soldi pubblici. Soldi che dalle casse dello Stato finiscono in quelle dei partiti. E che si sommano all’esenzione dall’Imu per le sedi politiche, ai contributi per la stampa di partito, alle agevolazioni fiscali, ai contributi per i gruppi parlamentari e regionali… Insomma, niente a che vedere con ciò che più di 30 milioni di cittadini decisero col referendum radicale del ’93. Erano gli anni di Tangentopoli e il 90% dei votanti si espresse a favore dell’abrogazione totale del finanziamento pubblico, poi ripristinato sotto le mentite spoglie di «rimborso elettorale» e nei giorni scorsi dichiarato incostituzionale dalla Corte dei Conti del Lazio. A distanza di vent’anni, e con un clima politico e sociale simile a quello d’allora, di buono c’è che stavolta l’iniziativa è politica. Governativa, addirittura. È il modo con cui Letta ha deciso di bruciare sul tempo Renzi, che per domenica aveva annunciato una «sorpresa» in materia. Nessun problema, Renzi sa che i dividendi politici dell’iniziativa sarà (anche) lui a incassarli. Ma, nel dubbio, domani rilancerà con forza. Perché, lo si è detto, l’«abolizione» di Letta non abolisce: probabilmente riduce, certamente rimodula.  Intendiamoci, forme diverse di finanziamento pubblico ai partiti esistono in tutti i Paesi europei eccetto la Svizzera. E un senso ce l’hanno. Ma se — in epoca di forconi incalzanti, grillini urlanti e renziani imperanti — si annuncia un’«abolizione», bisogna che poi l’abolizione ci sia. Se no è una mezza presa in giro. Come dire che non si può cambiare la legge elettorale per decreto, non esistendo i presupposti costituzionali di necessità e di urgenza, e poi per decreto «abolire» il finanziamento pubblico ai partiti.