L’apparenza inganna. A una settimana dal trionfo elettorale alle europee, Matteo Renzi sembra alle prese con problemi persino più grandi di come li aveva lasciati alla vigilia del voto. Ma si tratta di apparenze, appunto. Sui conti pubblici italiani  la Commissione europea avrebbe potuto calcare la mano, ma non l’ha fatto. Sui tagli alla Rai, i sindacati sono destinati a sconfitta certa, e qualora così non fosse per Renzi, attestato com’è sul lato più popolare della barricata, sarebbe quasi meglio. Sul decreto Irpef, la fuga in avanti del Ncd di Alfano lascia comunque al premier sufficienti margini di manovra e un punto di mediazione verrà certo trovato. L’impressione è che la riforma del Senato non farà eccezione. Gli oltre 5200 emendamenti presentati al testo base sembrano rappresentare una pietra tombale sull’accordo tra Berlusconi e Renzi, ma si tratta prevalentemente di propaganda. La minoranza del Pd ha abbassato le pretese, FI sembra averle invece alzate. Ma nelle quattro ore di confronto con i suoi senatori, ieri Berlusconi ha lasciato chiaramente intendere di non aver intenzione di passare come il responsabile dell’insabbiamento delle riforme costituzionali. Anzi, condividerne la genesi lo aiuterebbe a dare una patina di smalto istituzionale su un corpo politico ormai evidentemente malato. Naturalmente, il leghista Calderoli ha ragione: l’ipotetico nuovo Senato ha ben poco a che vedere col modello francese al quale invece lo si iscrive. Ma è questione da addetti ai lavori. Il punto politico è che Renzi ha accettato l’elezione indiretta dei senatori ed è convinto che anche  Berlusconi finirà per accettarla. Le carte si scopriranno la prossima settimana.