La divisa non è un doppiopetto particolarmente scomodo: è un abito mentale, un segno di alterità, una consegna formale ad un codice d’onore superiore. E chi la veste lo sa. E’ per questo che chi veste una divisa si trova soggetto anche ad una giurisdizione diversa, non civile ma militare. E dunque. Se un ufficiale dell’Esercito, che per missione ha la difesa della Patria da minacce esterne, risulta a libro paga di uno stato nemico, viene processato per alto tradimento. Se un ufficiale della Guardia di finanza, che per missione ha il contrasto ai reati finanziari, risulta a libro paga di una banda di affaristi, no. Eppure, non passa mese senza che il Quirinale, o la Corte dei Conti, o l’Ocse, o la Commissione europea ci ricordino come e quanto la corruzione leda l’interesse nazionale. E’ di ieri la notizia  delle indagini ai danni del comandante in seconda della Guardia di finanza, il generale Vito Bardi, e dell’arresto del comandante provinciale della Guardia di Finanza di Livorno, Fabio Mendella. E’ dei giorni scorsi la notizia dell’arresto del generale in pensione Emilio Spaziante nell’ambito dell’inchiesta veneziana sull’Expo di Milano. Spaziante è stato ammanettato dai suoi ex colleghi finanzieri, di cui si può immaginare il livore nei confronti di un uomo ai loro occhi colpevole soprattutto di aver infangato la divisa che vestono e tradito il corpo cui appartengono. Senza questo po’ di retorica, sarebbe oltremodo difficile, per chi è «truppa», accettare di rischiare la vita in cambio di uno stipendio da operaio… Di ex finanzieri trasformatisi in politici, o in dirigenti di impresa, o in procuratori d’affari, sono ricche le cronache giudiziarie: di ex assai più che di finanzieri in servizio colti con la mazzatta in mano. Lecito che, dopo il congedo, un ex ufficiale della Guardia di finanza possa essere assunto da un’azienda privata come un qualsiasi altro cittadino. Ovvio che, come qualsiasi altro cittadino, anche gli ex ufficiali della finanza siano esposti al rischio di corruzione. Capita però spesso che il passaggio dalla divisa grigia al colletto bianco avvenga senza soluzione di continuità. Capita spesso che al capo di un nucleo di finanzieri che sta controllando i bilanci di un’azienda venga offerta l’assunzione nei ranghi della medesima azienda. Vuoi perché la conoscenza diretta ha fatto scaturire un legittimo interesse professionale, vuoi perché l’assunzione presuppone un’omissione di atti d’ufficio. Tra gli altri, capitò anche al marito di Alessandra Mussolini. Quel Mauro Floriani assunto nel ’96 dalla società Metropolis che faceva capo a Lorenzo Necci dopo che come capitano della finanza aveva indagato su Enimont di cui Necci era presidente. Nessuno dubita si sia trattato di un colpo di fulmine professionale. Ma in molti casi il dubbio è legittimo. Perciò, pur prevedendo gli inevitabili lai sulle libertà costituzionali che verrebbero così compresse, invochiamo almeno una legge che vieti agli uomini delle forze dell’ordine (e, perché no?, ai magistrati) di prestare servizio presso soggetti da loro indagati quando ancora vestivano una divisa. O una toga.