Si deve a Roberto Calderoli, la cui fantasia lessicale non conosce limiti, l’invenzione del «partito della pagnotta». E’ il partito nel quale militano tutti quei senatori più o meno peones intenzionati a fare a pezzi la riforma del Senato nella speranza d’esservi inopinatamente rieletti. Ma, essendo peones, non hanno il coraggio di farlo a volto scoperto. A leggere i retroscena di alcuni giornali e le dichiarazioni di diversi politici antirenziani, confidano dunque nel voto segreto. E con ciò dimostrano che la loro ignoranza è pari alla loro viltà. Ignorano infatti che l’articolo 113 del regolamento del Senato non prevede il ricorso al voto segreto su leggi come quella in discussione. Abbiamo dunque imparato due cose: che diversi politici (e alcuni giornalisti) parlano a vanvera; che il voto segreto è lo strumento preferito dagli alati spiriti che militano nel «partito della pagnotta». In molti casi, peraltro, sono gli stessi alati spiriti che quando si trattava di votare sulla decandenza di Berlusconi da senatore invocavano invece il voto palese. Sempre «in nome della democrazia», s’intende. Leggendo però il regolamento della Camera si impara anche altro. Ad esempio. Alle tipologie di legge rispetto alle quali, così come al Senato, è consentito il ricorso al voto segreto, l’articolo 49 ne aggiunge una: le «leggi relative ad organi costituzionali dello Stato». Ohibò, dirà il lettore, è come si spiega il fatto che in un sistema bicamerale cosiddetto «perfetto» una camera preveda cose che l’altra camera invece esclude? La spiegazione c’è. C’è sempre una spiegazione. I regolamenti furono scritti nel 1988, quando, sotto la regia politica di Bettino Craxi, il pentapartito vinse la battaglia contro il voto segreto. Poiché già allora si parlava della necessità (anzi, «l’urgenza») di abolire o comunque riformare il Senato, Giovanni Spadolini, che era una mente fina e si trovava allora nell’ingrato ruolo di presidente di palazzo Madama, impose il proprio «lodo». Cioè il divieto per i senatori di votare segretamente «leggi relative ad organi costituzionali dello Stato». Organi costituzionali come il Senato. Abbiamo così imparato altre due cose. La prima: anche ai tempi di Giovanni Spadolini e di Bettino Craxi esisteva il «partito della pagnotta», e con quella modifica del regolamento si fece in modo di disarmarne la mano. La seconda: a dispetto di chi oggi si straccia le vesti in difesa del Senato elettivo, la necessità (anzi, «l’urgenza»)  di farlo a pezzi ha radici antiche. Non si tratta dunque di una bizzarra fantasia (o, peggio, di un allarmante impeto autoritario) della coppia Renzi-Berlusconi. Si tratta semplicemente di una necessità funzionale. Del resto, non c’è paese al mondo dove esistano due camere elette per fare le stesse, identiche cose. Per la verità, non c’è neanche un parlamento al mondo dove sia previsto il ricorso al voto segreto se non in casi estremi che riguardano le singole persone. Ed è giusto: è giusto che i parlamentari si assumano la responsabilità dei propri voti di fronte ai partiti attraverso i quali sono stati eletti e soprattutto agli elettori che li hanno votati. Perciò, abolito il Senato elettivo, bello sarebbe se fosse abolito anche il voto segreto. Con tanti saluti al «partito della pagnotta».