Ma chi l’ha detto che Matteo Renzi ha paura del referendum sulla riforma del Senato? Lo pensano molti suoi avversari, ma è falso. E’ falso al punto che nelle segrete stanze di palazzo Chigi stanno valutando l’opportunità di presentare un disegno di legge costituzionale per anticipare il più possibile il referendum confermativo. Ed è ovvio che tale scrupolo sia funzionale ad un eventuale ricorso anticipato alle urne.
Breve premessa ‘tecnica’. L’articolo 138 della Cosituzione prevede che, qualora non passino con la maggioranza dei due terzi dei voti, le leggi di revisione costituzionale possano essere sottoposte dopo almeno tre mesi dalla loro pubblicazione a referendum confermativo: basta che ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La vulgata vuole che il premier tema il referendum sul nuovo Senato e consideri uno smacco l’approvazione della riforma a maggioranza semplice. Non è così. Anche perché sa che ottenere la maggioranza dei due terzi non sarà facile. Perciò gioca d’anticipo. Di qui l’ipotesi di far viaggiare assieme le due leggi costituzionali: quella che pone fine al bicameralismo perfetto e quella che dovrebbe portare da tre mesi a un mese e mezzo il tempo che deve trascorrere prima di poter svolgere il relativo referendum confermativo. Tra febbraio e marzo 2015 la prima legge dovrebbe vedere la luce: il referendum (che sarebbe chiesto da 5 regioni ‘rosse’ su input renziano) si potrebbe dunque tenere entro l’estate. E sarebbe così possibile celebrare eventuali elezioni politiche nell’autunno del 2015. Farle prima in pendenza di referendum sarebbe infatti assurdo, perché si dovrebbe eleggere per cinque anni un Senato che si è voluto invece rendere non elettivo.
Questo non significa che Renzi abbia già deciso di andare ad elezioni il prossimo anno: significa che non esclude di esservi costretto dallo stato dei conti pubblici e dalle resistenze della sua stessa maggioranza. Perciò, anche per minacciare gli attuali parlamentari, predispone gli strumenti utili allo scopo. Per la stessa ragione vorrebbe che Napolitano (intenzionato a dimettersi già in gennaio) restasse in carica più a lungo. Difficilmente, infatti, il suo successore scioglierebbe le camere pochi mesi dopo la propria elezione.
Non che ci sia un accordo, ma lo scenario andrebbe bene anche a Berlusconi. La coppia Renzi-Berlusconi vincerebbe infatti il referendum sugellando col voto popolare il proprio ruolo costituente, e, agli albori di una nuova legislatura, con gruppi parlamentari a loro omogenei, deciderebbe in piena autonomia il nome del prossimo capo dello Stato. Non è una fantasia né una certezza: è un’ipotesi cui Renzi sta lavorando. Un’ipotesi che dice molto sul grado di stabilità del quadro politico osservato da palazzo Chigi.