E’ il principale elemento di forza di Matteo Renzi a rappresentarne oggi la principale debolezza. Il presidente del Consiglio affronta la prova del governo così come affrontò quella delle primarie: rivolgendosi direttamente ai cittadini, caldeggiandone gli umori, esaltandone le insofferenze. Poggiando i piedi su una maggioranza instabile e avendo a che fare con gruppi parlamentari a lui poco omogenei perché eletti in epoca Bersani, è costretto ad alimentare un clima da campagna elettorale permanente, poiché ad ogni passo corre il rischio di scivolare e alla prima scivolta non gli resterà che invocare nuove elezioni. Perciò, per sedurre la pancia del Paese, ha messo tanta, tantissima carne al fuoco: la riforma del Senato e quella del sistema elettorale, la riforma del finanziamento pubblico ai partiti e quella della Rai, la riforma della Pa e quella del Lavoro, la riforma della Giustizia e… Ma ogni riforma è un nemico. O meglio: ogni riforma annunciata gli ha messo contro l’intera categoria da riformare. Niente di nuovo. Scriveva cinquecento anni fa un fiorentino più famoso di lui che «il riformatore ha nemici in tutti coloro che traggono profitto dal vecchio ordine e solo tiepidi difensori in tutti coloro che trarrebbero vantaggi dal nuovo ordine». Non è chiaro fino a che punto Matteo Renzi abbia assimilato la lezione di Niccolò Machiavelli, ma chiarissimo è il fatto che tra funzionari pubblici, sindacati, categorie professionali, poteri che contano e ‘vecchi’ politici che resistono, il premier abbia oggi più nemici che amici. Nemico particolarmente temibile sono gli alti burocrati pubblici. Una guerra santa, quella dichiarata da Renzi contro i mandarini di Stato, ma una guerra insidiosa, essendo questi in grado di bloccare ogni riforma. E lo fanno. Nessuna delle riforme approvate in era Renzi è operativa: mancano i decreti attuattivi, cioè le norme varate dalle strutture tecniche ministeriali per dare attuazione alle leggi. Niente di strano, il Sole 24 Ore del 2 luglio ha stimato che delle riforme varate dai governi Monti e Letta è stato attuato solo il 41,5%: all’appello mancano ancora 428 decreti attuativi. Legiferare, dunque, si riduce a pura testimonianza. Renzi può correre quanto vuole, e se anche i parlamentari corressero come lui occorrerebbe convincere i tecnici dei ministeri e indossare le scarpette da jogging. Ma nessuno c’è ancora riuscito. Intanto, come documenta oggi il Qn, i mandarini del Senato scrivono per le opposizioni emendamenti a prova di bomba volti a disarticolare la riforma Boschi. Troppa carne al fuoco, troppi fronti aperti. Anche quell’insistere di Renzi sulle date delle riforme per evitarne l’insabbiamento rischia di rivelarsi un boomerang. Ad oggi, infatti, l’unica riforma varata nei tempi previsti è stata quella dei famosi 80 euro in busta paga. A tutto ciò si aggiungono le cose che contano: l’impasse sulle nomine europee, le resistenze tedesche ad un’interpretazione estensiva dei trattati, il precipitare dei conti pubblici italiani e la connessa necessità di reperire tra i 20 e i 30 miliardi di euro. Non si può dunque escludere che quelle elezioni anticipate agitate a scopo deterrente si trasformino nell’unica chance di Renzi per mantenere integra la propria immagine pubblica.