Si deve ai santi Agostino e Tommaso il concetto di «guerra giusta». Nell’Antico Testamento il profeta Isaia annuncia che «la spada Dio è coperta di sangue», nel Nuovo Testamento il figlio di Dio puntualizza che «chi pone mano alla spada, perirà di spada» e, a scanso di equivoci, chiarisce: «Io non sono venuto a portare la pace ma la spada». Ma i tempi sono cambiati, la parola «guerra» è bandita. Capita così che papa Bergoglio chieda all’Occidente di fermare il genocidio dei curdi in Iraq, ma senza usare le «bombe». Capire come si possano fermare i fondamentalisti islamici dell’Isis senza far uso della violenza diventa così una questione teologica. Un mistero della fede. I vaticanisti lasciano intendere che per la Chiesa una guerra sotto l’egida dell’Onu sarebbe legittima, ma il Papa non può dirlo apertamente. Probabile sia vero. C’è infatti un evidente doppiopesismo nell’approccio del Vaticano ai conflitti in corso: se le «vittime» sono islamiche, come in Siria, l’intervento militare è sconsigliato; se sono cattoliche è sostanzialmente raccomandato. Ricordava in proposito Francesco Cossiga che «quando si trattò di difendere i cattolici croati dal serbo Milosevic fu sufficiente chiamare pace la guerra perché anche per la Chiesa la storia potesse proseguire serenamente il proprio cammino di sempre». Nel gennaio del ’93, parlando al Corpo diplomatico presso la Santa Sede, Giovanni Paolo II la mise così: «Una volta che tutte le possibilità offerte dalle negoziazioni diplomatiche e dai processi previsti dalle convenzioni e dalle organizzazioni internazionali sono state messe in opera e che, nonostante questo, intere popolazioni sono minacciate di soccombere… il dovere degli Stati impone loro l’obbligo di disarmare l’aggressore». Ma più delle contorsioni degli uomini di Chiesa, preoccupano quelle degli uomini di Stato. Ormai schiavi del politicamente corretto, i politici hanno infatti rinunciato a padroneggiare quella categoria che della loro arte è in fondo l’essenza: la forza. I conflitti, perciò, degenerano e gli «incidenti» si moltiplicano: se la comunità internazionale avesse dato al confitto ucraino il suo vero nome chiamandolo «guerra», il boeing della Malesia non avrebbe sorvolato i cieli di Kiev e i suoi 298 passeggeri sarebbero ancora vivi. Vedremo oggi se, in Iraq, Renzi userà il linguaggio della Chiesa o quello, proscritto, della Politica.