Sarebbe ingeneroso pensare che Matteo Renzi sia volato in Iraq solo per ricostruirsi all’estero quell’immagine offuscata in Patria. Il divampare dei conflitti mediorientali e il genocidio dei cristiani ad opera dei fondamentalisti dell’Isis rappresentano un problema serio per l’intero Occidente: ovvio, e doveroso, che il presidente di turno dell’Unione europea sia presente e li denunci come tali. Naturalmente, ciò non vuol dire che l’Italia si sia ritagliata un chissà quale ruolo sullo scacchiere internazionale. E infatti, a differenza della Francia, non siamo stati invitati al recente vertice organizzato dalla Merkel sull’Ucraina né lo saremo la prossima settimana a quello sui Balcani. Sarebbe ingeneroso pensare che Renzi abbia puntato tutto sulla riforma del Senato solo perché è una riforma dal vago sapore anti-Casta e a costo zero: la crescita economica e il benessere della nazione passano anche per la funzionalità delle sue istituzioni rappresentative. Ma il nodo, appunto, è la crescita economica. Il nodo è il benessere delle famiglie. E qui il piè veloce del premier rallenta e manca poco che segni il passo. Certo, il Consiglio dei ministri del 29 agosto licenzierà i provvedimenti su giustizia, sblocca-Italia e scuola. Ma in un sistema sempre più globalizzato, popolato da Stati sempre più desovranizzati la fortuna economica di un Paese dipende in larga misura dalla fiducia che questo riscuote sui mercati e tra i partner internazionali. E la fiducia in Matteo Renzi sembra attraversare una fase calante. Grandi e potenti investitori come Blackrock guardano ora all’Italia come a «un malato cronico» i cui spread, osservano gli analisti di Bridgewater «non riflettono la situazione in deterioramento del Paese». Grandi e influenti giornali come il Wall Street Journal e il Financial Times trasudano scetticismo: Renzi, scrive il primo, «ha parlato molto ma ha fatto poco»; l’Italia, osserva il secondo, «è il banco di prova dell’Europa». Ovvero, il suo punto debole. Analogo concetto l’ha recentemente espresso il presidente della Bce, Mario Draghi. Ieri, su Repubblica, il direttore del quotidiano tedesco Die Zeit dava conto di una certa delusione della Merkel e del suo governo rispetto al premier italiano: tra le righe traspariva l’accusa di faciloneria. Accusa insidiosissima, poiché corrisponde ad un secolare (pre)giudizio sul Belpaese e i suoi abitanti. Al netto dunque dell’indiscutibile capacità mediatica del premier, del suo essere ubiquo e dei suoi buoni propositi, par di capire che la fiducia in Renzi, e di conseguenza nell’Italia, sarà proporzionale alla radicalità di due riforme: il taglio della spesa pubblica e le modifiche alle regole del mercato del lavoro. Le riforme di cui meno si parla.