Al mattino, Matteo Renzi ha twittato trionfale: «Mario Barbuto, che ha risolto i problemi della giustizia di Torino, è adesso a Roma a lavorare con Andrea Orlando». Nel pomeriggio, il dottor Barbuto, recente capo dell’Organizzazione giudiziaria del ministero della Giustizia, è ancora preda d’un percepibile imbarazzo.
Si aspettava quel tweet?
«No, è stato mio figlio ad avvisarmi… Quando ho avuto l’incarico, Renzi non lo conoscevo e Orlando l’avevo visto solo una volta».
Ci racconta il segreto del suo ‘miracolo a Torino’?
«Nel 2001 venni nominato presidente del Tribunale e mi accorsi che c’era un arretrato spaventoso. Fissai dunque il primo principio in forma di slogan».
Sarebbe?
«L’arretrato, se lo conosci lo eviti».
Nel senso che…
«Nel senso che conoscevamo solo il numero della cause pendenti, ma non le loro caratteristiche».
Dunque, cosa fece?
«Un censimento, targandole per anno. Pensi che scoprimmo una causa cominciata 44 anni prima».
Di che si trattava?
«Di un’eredità, eravamo già alla seconda generazione di eredi in lite. Ma la cosa sorprendente è un’altra».
Quale?
«Che bastarono sette mesi per concluderla».
Volere è potere…
«Sì, ma correrre che a volerlo siano tutti. Anche gli avvocati. Noi demmo priorità alle cause ultra triennali e stabilimmo un decalogo con il consiglio dell’Ordine degli avvocati, allora presieduto da Antonio Russomando».
Cosa stabiliva il decalogo?
«Niente rinvii brevi,  in caso di rinvio lungo si convocano tempestivamente le parti, sostituzione dei consulenti tecnici che non depositano la perizia entro trenta giorni… Cose così».
Obiettivo: cause lunghe massimo tre anni.
«Sì, come prescritto dalla Corte europea di Strasburgo».
I suoi colleghi come la presero?
«Non tutti la presero bene: non è compito nostro, dicevano, ma chi ce lo fa fare… »
E lei?
«Risposi: chi è d’accordo lo fa, gli altri sono pregati di non boicottarci».
Vi boicottarono?
«Beh, è chiaro che così tocca lavorare di più, ma scattò il meccanismo della ‘pressione tra pari’: i colleghi che aderirono convinsero bonariamente gli altri che ne valeva la pena. Erano orgogliosi di quel che facevano».
Risultati?
«Strabilianti, i processi si chiudevano quasi sempre prima di arrivare a sentenza, con una transazione. Il 95% delle cause durò meno di tre anni».
Dunque, non è un problema di risorse o di organici…
«No, l’Italia è in media europea, a distinguerci dagli altri è solo il fatto che si fanno troppe cause. Ma è decisivo che gli avvocati collaborino e che il capo dell’ufficio eserciti il suo potere».
Ossia?
«Vede, ogni giudice si ritiene padrone assoluto delle cause che gli vengono assegnate, ma la gestione dell’intero comparto appartiene al capo dell’ufficio. Il quale, se vuole, ha modo di ‘incoraggiare’ i sottoposti».
Il suo caso dimostra che la Giustizia può funzionare anche a norme vigenti: che bisogno c’è della legge Orlando?
«Una semplificazione normativa è senz’altro utile, per ottenere risultati a legislazione invariata occorrono sforzi enormi e diversificati a seconda delle sedi».