Lo scorso febbraio, nel discorso con cui chiese la fiducia al parlamento Matteo Renzi annunciò un «piano per il lavoro entro il mese di marzo» e comunque «prima del semestre europeo». Marzo passò, il semestre europeo cominciò, ma della riforma del lavoro non si vide traccia. Poi, il 3 settembre, il premier concede un’intervista al direttore del Sole 24Ore. Della riforma del lavoro parla appena, la prevede genericamente «entro l’anno» ed esclude la possibilità che su quel terreno il governo mostri i muscoli al parlamento. Ecco le sue parole: «Si può fare, per decreto, il nuovo welfare? No, ma sono certo che il Parlamento entro la fine dell’anno approverà il jobs act». Evidentemente, le certezze di due settimane fa sono sfumate. Evidentemente, Matteo Renzi si è convinto che la politica del «passo dopo passo» va bene, ma sul lavoro il passo dev’essere a dir poco spedito. Gli indicatori economici sono pessimi, il governo ha bisogno di credito e il credito che la Commissione europea a trazione tedesca e gli investitori internazionali gli concederanno sarà proporzionale alla velocità e all’intensità con cui si metterà mano alla riforma del lavoro. Alla Camera, dunque, ieri il premier ha chiesto di approvarla «in tempi certi e serrati»; al Senato ha invocato «tempi strettissimi». A deputati e senatori ha detto che se non si daranno una mossa il governo interverrà «con misure di urgenza». La possibilità di procedere per decreto, esclusa a inizio mese, diventa ora così concreta da essere enunciata in sede istituzionale. Il fine, dunque, è più importante del mezzo. Da questo repentino cambio di registro si capiscono almeno due cose. La prima è che, a dispetto della retorica in base alla quale «non prendiamo lezioni da nessuno», Renzi e i suoi ministri non sono insensibili alle «raccomandazioni» della Commissione europea e delle élite economiche. La seconda è che sulla riforma del mercato del lavoro, invisa alla Cgil e a parte del Pd, si giocherà il futuro della legislatura. A breve capiremo. Se Renzi ne avrà la forza, e se all’occorrenza sarà pronto ad allearsi anche con Berlusconi pur di ottenerla, con la riforma del lavoro imposta a tambur battente in Patria esigerà in Europa una consistente deroga dagli obblighi sul deficit e userà le risorse così risparmiate per, si vocifera, provocare uno shock fiscale che rimetta in modo i consumi. In caso contrario, valorizzerà uno dei tanti nemici individuati fino ad oggi e per sconfiggerlo invocherà quella forza che solo le elezioni possono dargli. Matteo Renzi, e con lui l’Italia tutta, è dunque a un bivio: qualsiasi strada decida di imboccare ci aspetta un periodo tanto turbolento quanto interessante.