Si era molto ricamato sul “Fattore C”, ed era vero. È vero che la fortuna è sovrana ed è vero che Matteo Renzi sembrava un ragazzo fortunato. Aveva dalla sua, appunto, “il Fattore C”: quella Fortuna che secondo Niccolò Machiavelli è responsabile al 50% dei successi del Principe; quel Caso che secondo Federico II di Prussia determina i “due terzi degli umani accadimenti”. Ma la dea Fortuna è tanto cieca quanto incostante e “sua maestà il Caso” è imprevedibile per definizione. E’ perciò capitato che, sconsideratamente, la Corte costituzionale abbia smontato l’impianto della riforma previdenziale stilata dall’allora ministro Elsa Fornero, sì che Matteo Renzi si è ritrovato da un giorno all’altro sull’orlo di un baratro. Il baratro dei conti pubblici. Ancora non sa come come potrà evitare di caderci dentro, di sicuro ha dovuto accantonare l’idea di distribuire denari alle famiglie più indigenti. Con le elezioni regionali alle porte, il premier intendeva replicare lo schema degli 80 euro cui deve parte consistente del proprio successo alle scorse Europee, ma la fortuna gli ha voltato le spalle. E, con la fortuna improvvisamente avversa, Matteo Renzi si è ritrovato tanto nudo quanto inerme. Condizione non ideale per fronteggiare la rivolta degli insegnanti contro la riforma della scuola. Rivolta corporativa, certo, ma non per questo meno insidiosa. Se avesse tempo, il premier non faticherebbe a far capire al Paese che la minaccia di bloccare gli scrutini nulla ha a che vedere con gli interessi degli studenti, né con il merito della riforma stilata dal ministro Giannini. Ma il tempo è poco e le elezioni sono vicine: un altro caso di malasorte incipiente. Ma anche un monito. Pensare di avere sempre il vento in poppa, senza di conseguenza coltivare i rapporti con chi può improvvisamente rappresentare una minaccia (la Consulta, in questo caso, e i sindacati), si è dimostrata una leggerezza. Un atto di arroganza, se volete. Arroganza comprensibile e persino giustificabile, per uno come Matteo Renzi. Uno abituato per necessità a farsi largo a sciabolate sulla scena politica e a procedere a spallate lungo la via delle riforme. Resta dunque vero quel che era vero sin dall’inizio della sua avventura di governo: la forza di Renzi è la debolezza dei sui avversari. La sinistra interna, così fuori dal mondo da considerare “autoritaria” quella riforma del sistema elettorale che tutte le capitali d’Europa hanno letto come il presupposto della governabilità. E Forza Italia, ormai da tempo priva di bussola politica e tristemente ridotta ad un agglomerato di interessi personali in conflitto tra loro. Renzi sembra un gigante, perché circondato da nani. Ma al Senato è appeso a un pugno di voti, il 40 e passa per cento dei consensi incassati alle Europee è un lontano ricordo e sul territorio il partito gli sfugge. E’ una forza relativa, quella di Matteo Renzi. Una forza che ancora deve strutturarsi politicamente. Una forza che sarebbe rischioso dare per scontata: richiede lavoro; non solo tattica, ma anche strategia. E la fortuna di incrociare la ripresa economica.