Soave e tenera, la favola della perfida Merkel che sulla via di Damasco d’improvviso si trasforma in fatina azzurra, dolce e accogliente. I giornali esultano, i commentatori la elevano a modello di virtù. Anche chi l’aveva criticata per la durezza esibita con la Grecia, ora che la cancelliera ha aperto l’uscio germanico ai profughi siriani tosto s’affretta a restituirle l’onore politico perduto. “Ecco un vero leader, un leader europeo”, esultano. Balle. Di europeo non c’è nulla, c’è invece molto di tedesco. C’è che, come ha scritto lo Spiegel, la Germania ha un tasso di natalità tra i più bassi del mondo, un tasso di occupazione tra i più alti e al 2060 la sua popolazione calerà del 19%. Berlino ha dunque un disperato bisogno di mano d’opera qualificata e i siriani sono i più qualificati di tutti. Ciò nonostante, per annunciare la politica delle porte aperte la Merkel ha aspettato che le immagini dei profughi dolenti e del piccolo Aylan riverso su una spiaggia turca permeassero i cuori dei suoi connazionali. Solo allora quel che era un problema italiano è divenuto una soluzione tedesca. Come sulla Grecia, anche sui ‘migranti’ la cancelliera ha fatto un calcolo ispirato all’interesse nazionale. Un calcolo da ragionieri. Un leader aggredisce le cause dei problemi, non solo gli effetti: e sulle cause (cioè la guerra all’Isis e la stabilizzazione di Libia e Siria) la grande Germania non è meno afona della piccola Italia. Le favole, in politica, hanno le gambe corte.