In epoca di disgregazione sociale, fuga dalla politica e individualismo imperante, sapere che molte piazze si affollano di gente non per festeggiare una vittoria sportiva o per acclamare l’ultimo idolo da talent show ma per manifestare delle idee suona come una buona notizia. Non è detto che lo sia. Avremo il Family day benedetto dalla Chiesa, abbiamo avuto l’adunanza arcobaleno delle sinistre laiche. Piazze piene, piazze contrapposte. Piazze che però non rispecchiano la società. Ridurre tutto a una contrapposizione tra laici e cattolici è infatti sbagliato. Si può essere cattolici e riconoscere l’urgenza di dare veste giuridica alle coppie omosessuali, si può essere laici pur ritenendo che le adozioni e la parola matrimonio debbano rientrare nell’orizzonte delle sole coppie eterosessuali. Nel Paese reale è così. Personalmente, da laico, credo sia doveroso che le coppie omosessuali possano godere dei medesimi diritti di quelle eterosessuali, e ritengo imbarazzante che, per acquiescenza dell’élite politica nei confronti delle gerarchie vaticane, l’Italia sia l’unico paese europeo dove questo non accade. Pur essendo laico, però, considero sbagliata, oltre che incostituzionale, la pretesa di farle accedere all’istituto del matrimonio e un’aberrazione morale la pratica dell’utero in affitto grazie alla quale le coppie gay possono allevare figli messi al mondo da donne pagate allo scopo. A giudicare dai sondaggi, è questo l’orientamento della stragrande maggioranza dei cittadini italiani. Ma nel Palazzo si tende a schematizzare, e lo si fa, pergiunta, in maniera contraddittoria. Da una parte non si ha il coraggio di chiamare le cose col loro nome e anziché discutere una legge sulle “unioni omosessuali”, chè di questo si tratta, ci si nasconde dietro l’ipocrita velo delle “unioni civili”. Dall’altra si indica come relatore della legge una pasdaran dei diritti omosessuali come Monica Cirinnà. La quale, facendo inconsapevolmente danno alla propria causa, ha già chiarito che la “sua” legge rappresenta un primo passo verso i matrimoni gay e la liberalizzazione totale delle adozioni per le coppie omosessuali. Meglio sarebbe stato se il Pd avesse affidato la pratica a uno dei tanti cattolici liberali che affollano il suo gruppo in Senato. Ne sarebbe forse disceso un dibattito meno stereotipato e più attinente al merito delle questioni. Nell’Italia dei campanili, si è invece preferito arroccarsi ciascuno dietro al proprio vecchio steccato innestando bandiere logore ormai estranee al sentire comune degli italiani. La nazione è più assennata e intellettualmente libera dei suoi rappresentanti: se la stepchild adoption (che poi, ma dirlo pare brutto, significa “adozione del figliastro”) sarà legge, spetterà agli italiani dire l’ultima parola attraverso un referendum che di certo qualcuno si incaricherà di promuovere. Col risultato che, per abrogare la legalizzazione surrettizia dell’utero in affitto – primo, oggettivo passo verso le adozioni gay -, verrà abrogata anche la parte migliore e giusta della legge. Perciò, nell’interesse delle coppie omosessuali, sarebbe bene che l’aula del Senato cassasse la stepchild adoption dal testo della legge Cirinnà.