Si dice spesso che il Palazzo non è rappresentativo del Paese. E in molti casi è vero. Ma non per questo sembrano esserlo i grandi giornali e i salotti televisivi. Prendete il dibattito sulle coppie gay, sulla stepchild adoption (l’adozione del figliastro), fino alla pratica dell’utero in affitto e al supposto diritto degli omosessuali ad adottare un figlio. A parte i politici contrari, le voci del dissenso sono state ridotte al minimo. E sempre chiosate con sdegno dai benpensanti. Non c’è dubbio che l’Occidente vada nella direzione delle libertà totali per ciascuno; non c’è dubbio che le coppie omosessuali avranno prima o poi riconosciuto anche in Italia il diritto a sposarsi e adottare figli al pari delle coppie eterosessuali. Ci sono buone ragioni per sostenere entrambe le tesi, ma chi si dichiara contrario all’equiparazione o alle adozioni è considerato un mostro, un oscurantista, un essere immondo che va espulso dal consesso civile. Eppure così la pensano i due terzi degli italiani. Tutti mostri? Tutti oscurantisti? Tutti incivili? C’è, evidentemente, una tendenza totalitaria nel cosiddetto “progressismo”. Una tendenza che ha rimosso secoli di dibattito intellettuale: la distinzione tra cultura e civiltà, la dimensione spirituale dell’uomo, le pagine della filosofa francese Simone Weil, che lamentava “lo sradicamento” dell’Occidente “a causa della menzogna del progresso”. Mai come oggi l’élite intellettuale sembra lontana dal sentire comune. Sì che quando sulla scena politica si materializza un leader capace di entrare in sintonia con gli umori della nazione, subito lo si mette ai margini con l’accusa di “populismo”. Lo scorso giugno, il miliardario americano Donald Trump annunciò la candidatura alle primarie repubblicane e fu sommerso dalle risate. Ora non ride più nessuno. Ora che la candidatura di Trump si è fatta largo, gli stessi che prima lo irridevano cercano di analizzarlo. E più lo analizzano meno lo capiscono. Com’è possibile che a sostenerlo siano anche le minoranze da lui apparentemente vilipese? Eppure Trump non è un corpo estraneo nella società americana: è la pancia che si ribella alla testa, il sentimento della massa che reagisce alla ragione dell’élite, il passato che contesta il presente. Non è strano che uno come lui guadagni consensi nei giorni in cui la principale università statunitense, Harvard, abolisce il titolo di Master, parola con cui per secoli è stato indicato il rettore, perché significando “padrone” evoca la schiavitù. Per non offendere gli studenti di colore si è ripiegato sul termine Dean. Il politicamente corretto è un’ideologia cara a minoranze ricche e pasciute. In epoca di crisi economica e di smarrimento esistenziale, le masse stanno al gioco. Ma se qualcuno dà voce a quel che pensano e ritengono di non poter dire, il gioco si rompe e il politicamente scorretto trionfa con gran scorno dei benpensanti.

PS

A scanso di equivoci: chi scrive è favorevole alla legge sulle unioni civili approvata dal Senato, è contrario alle adozioni per i gay e non ha alcuna simpatia per Donald Trump.