Tutto è iniziato a Roma e a Roma tutto sembra finire. Era il 1993, Gianfranco Fini sfidava Francesco Rutelli nella corsa a sindaco e a Casalecchio di Reno Silvio Berlusconi sorprese tutti dichiarando la propria simpatia per l’allora leader del Msi. Di lì a poco nacque il centrodestra come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi. Sono passati 23 anni, a parte Berlusconi i protagonisti non sono più gli stessi, ma soprattutto non è più quello il contesto. E non tanto perché a capo del maggior partito della sinistra c’è ora un leader competitivo. Di nuovo c’è che con la crisi economica del 2007-2008 e la conseguente crisi dell’Europa la politica ha cambiato parole d’ordine. Nei primi anni Novanta dominava la retorica liberal-liberista, il post-fascista Fini andava a farsi benedire alla City di Londra, dell’Europa non si diceva che bene e la parola Stato era associata a un che di negativo: un potere da contenere, un nemico da abbattere. Tutto è cambiato. Oggi a destra – ma anche a sinistra – si denuncia lo strapotere della finanza, si esaltano gli Stati (di cui è rimasta però solo la scorza, essendo stata succhiata per intero la polpa della sovranità nazionale) e dell’Europa si dice tutto il male possibile. L’immigrazione è il tema caldo per eccellenza, il terrorismo islamico spaventa, alla parola liberismo mettono tutti mano alla fondina. Insomma, il contesto ideale per l’affermazione di una destra-destra con animo populista. Oltre che con la crisi del berlusconismo, lo sfascio romano si spiega con la lotta per l’egemonia di questa futuribile destra-destra. Ne risulta il ritorno in auge del “Casino delle libertà” reso celebre dalla satira di Corrado Guzzanti. Se nella Capitale i rissosi leader del centrodestra avessero davvero voluto garantirsi qualche chance di vittoria, avrebbero fatto propria la candidatura di Alfio Marchini. Hanno invece prevalso i particolarismi: le faide tra gli ex An, le spropositate ambizioni di Giorgia Meloni, la dichiarata intenzione di Matteo Salvini di fare della Lega il partito trainante di un’eventuale coalizione. E’ possibile che, tra una sconfitta e l’altra, alla fine il disegno di Salvini si realizzi e il centrodestra ritrovi un barlume di unità. Ma perché non sia solo un’apparenza occorrerebbe un processo di elaborazione culturale per capire a quali parole d’ordine agganciare il proprio destino. Un vasto programma di cui si stenta e vedere oggi i possibili protagonisti. Nell’attesa, a Roma i cocci del centrodestra li raccoglierà la candidata grillina.

 

P.S.

Per aver detto quel che la medesima Meloni aveva detto, cioè che la messa al mondo di un figlio mal si concilia con una campagna elettorale, Bertolaso e Berlusconi sono stati messi all’indice. Eppure era un’ovvietà. La politica non è un mestiere, è una droga che non lascia spazio ad altro. Ovvio che una donna al settimo mese di gravidanza non potrà fare la campagna elettorale che vorrebbe. Ovvio che, in caso di vittoria, la Meloni dovrebbe scegliere se dedicare le proprie energie a Roma o al figlio. E infine, dato che si dice spesso che i diritti del nascituro debbono prevalere, ovvio che il figlio della Meloni preferirebbe avere in famiglia una mamma piuttosto che un sindaco. Poi, naturalmente, uomo o donna che sia, ciascuno è libero di fare le scelte che crede.