Più che una rissa è una sceneggiata. Urla, proclami e strepiti, petti rigonfi e agitar di pugni nell’aria ma senza l’intenzione di mettersi davvero le mani addosso. Non da parte del governo, almeno. E’ però vero che Matteo Renzi crede, e ci crede davvero, nel primato della politica. In difesa di questo principio tristemente antistorico gli è infatti capitato di denunciare gli sconfinamenti e gli abusi della magistratura quando ancora la magistratura non aveva lambito l’universo renziano. Non era, dunque, un modo per mettere le mani avanti o costituirsi un alibi mediatico (indagano su di me, o sulla mia famiglia, o sui miei uomini perché io li ho attaccati), era quel che davvero pensava. L’affondo sulle ferie dei magistrati è del luglio 2015. Ma quando Renzi non era ancora né segretario del Pd né presidente del Consiglio aveva già chiaro il problema. Risale alla Leopolda dell’ottobre 2013 il suo duro attacco ai giudici che hanno incarcerato e poi prosciolto il numero uno di Fastweb Silvio Scaglia. Ne fece una metafora generale: “La storia di Silvio ci dice che bisogna fare la riforma della giustizia. La storia di Silvio Scaglia, non dell’altro Silvio”, celiò l’allora sindaco di Firenze. A parole è stato coerente. Divenuto premier non ha infatti smesso di incrociare le lame con le toghe più militanti o esibizioniste, ma la Grande Riforma della Giustizia più volte sbandierata con tutte le maiuscole del caso è rimasta lettera morta. La separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante, il divieto di pubblicizzazione delle intercettazioni almeno fino all’udienza filtro, l’abuso della carcerazione preventiva, l’introduzione di criteri meritocratici, la riforma di quel carrierificio corporativo che è il Consiglio superiore della magistratura… Nulla di tutto questo è diventato né diventerà legge. E al termine dell’estenuante mediazione tra il ministro della Giustizia Andrea Orlando e l’Anm, anche il principio della responsabilità civile dei magistrati è risultato assai più blando del previsto. Non è che Matteo Renzi abbia cambiato idea, è che teme la reazione delle toghe. “Se non avessero capito che alla fine non intaccheremo i privilegi della categoria, i tanti magistrati che oggi si stanno schierando con noi contro Davigo si schiererebbero con Davigo contro di noi. E in un contesto di scontro frontale, con tanto di riforma incombente, le procure farebbero a gara ad aprire fascicoli contro di noi, i nostri dirigenti, i nostri ministri, i nostri sindaci…”: è così, con rara sincerità, ma dopo aver più volte chiesto l’anonimato, che la mette un renziano di primo livello. Lo scontro dunque c’è, è innegabile. Ma nelle intenzioni di Matteo Renzi e dei renziani si tratta di una sceneggiata. Un tenetemi se no lo ammazzo, con la certezza di essere in effetti trattenuti. C’è solo un dubbio: le procure lo hanno capito, o siamo solo all’inizio di una nuova ondata di accuse e di processi più o meno “politici”? Lo sapremo a breve. E chissà che eventi inattesi e indesiderati non costringano il premier a rilanciare davvero la mitica Grande Riforma della Giustizia.