INTERVISTA PUBBLICATA SU QN DEL 29.01.2012

Di seguito l’intervista integrale ad Antonio Menna

Rosalba Carbutti
BASTANO UN POST su un blog, un tam tam continuo sui social network, e
48 ore dopo puoi finire in seconda pagina su Le Monde. È successo ad
Antonio Menna, 42 anni, blogger e giornalista napoletano che, morto
Steve Jobs, il giorno dopo ha scritto una storia che ha fatto
letteralmente impazzire il web. Protagonista uno Steve Jobs
napoletano, Stefano Lavori, alle prese in un garage con un’idea
rivoluzionaria, assieme al suo amico Stefano Vozzini (alter ego di
Steve Wozniak). Insomma, un’avventura identica a quella del guru della
Apple, ma con un finale decisamente diverso. Da questa storia, è nato
un libro, Se Steve Jobs fosse nato a Napoli (Sperling & Kupfer).
Perché Stefano è diverso da Steve?
«L’idea è la stessa: creare la Apple e un computer rivoluzionario, ma
cambiano le dinamiche. A causa di banche, burocrazia e camorra i sogni
di Stefano e del suo amico, piano piano, in quel garage, si spengono».
Crede che i giovani in Italia si trovino nella stessa situazione?
«Sì, spesso nessuno crede alle nuove start up, nessuno ci investe. E,
così, essere geniali non basta più».
Ma questo lo diceva anche il Jobs originale. Bisogna anche essere
affamati e folli.
«Certo. Ma se un giorno la camorra bussa al garage? Se i due soci
pagano finiscono i soldi e chiudono. Se non pagano, gli fanno saltare
in aria il garage. Se denunciano finiscono di campare, ma se non lo
fanno vanno in galera. Insomma, comunque vada, si deve pagare un
prezzo».
In effetti nel suo post va a finire che Stefano Lavori e il suo amico
Stefano Vozzini chiudono il loro sogno nel cassetto. E diventano
garagisti.
«Se nasci nel posto sbagliato rimani con la fame e la pazzia, e niente
più. E non lo dico soltanto in relazione a un’idea rivoluzionaria come
la Apple. La stessa trafila di Stefano Lavori la devono seguire tutti.
Anche chi deve aprire un bar».
Ora, però, con il decreto Monti gli under 35 potrebbero riuscire a
creare una società con un solo euro, saltando parecchi ostacoli
burocratici.
«Se si proseguirà in questa direzione, di sicuro qualcosa cambierà. E
magari eviteremo la fuga all’estero dei cervelli».
Lei, però, ha deciso di restare.
«Sì, ma nessuno mi ha proposto un’assunzione a tempo indeterminato».
Il web, però, le sta cambiando la vita.
«Da quando ho azzeccato quel post, in effetti, ho 400mila persone che
sono transitate sul mio blog. Prima erano appena cento».
Vede, una speranza c’è.
«Internet può aiutare. Ma è come azzeccare un terno al lotto. Curo un
blog da cinque anni e non mi considerava nessuno. Poi sono bastate due
cartelle scritte mentre la mia fidanzata metteva troppo peperoncino in
cento grammi di spaghetti aglio e olio… Una speranza c’è. Forse».