Articolo pubblicato su QN (Carlino, Nazione e Giorno) il 24 febbraio 2014

A sinistra per Matteo Renzi torna (quasi) il sereno. L’incognita Pippo Civati ieri si è risolta, tant’è che il neopremier potrà contare su una pattuglia di circa 174-175 voti. Arriverà l’aiuto di tre senatori di Grandi autonomie e libertà, il gruppo ‘misto’ del centrodestra, e di tre senatori ex M5S. Ancora qualche dubbio tra i Popolari (i voti dei tre senatori Udc, però, sono certi), ma vista la partita aperta per sottosegretari e vice si scommette sulla fiducia. In questo calcolo non ci sono i senatori a vita (a parte Monti), quindi per Renzi i numeri potrebbero lievitare a 179 (178 senza Ciampi che non c’era alle ultime votazioni), superando la maggioranza di Enrico Letta che raggiunse quota 173. In questa conta, la «grana» della sinistra interna al Pd, dopo l’assemblea ulivista dell’area di Civati che si è riunita ieri in centro a Bologna, si è praticamente normalizzata. Lo stesso Pier Luigi Bersani, dalle colonne dell’Unità, nella sua prima intervista dopo la malattia, non ha lasciato dubbi: «Chi pensa di non votare la fiducia ha perso la bussola. Se non si vota finisce il Pd». Risultato: i democratici non hanno più un’opposizione interna. Il sondaggio in stile grillino lanciato sul web da Civati, seppur di poco, dà ragione alla linea «responsabile»: il 50,1% ha votato a favore della fiducia, il 38,4% per il no e il 10,6% per l’astensione. E nonostante tra i sì prevalga l’assenso condizionato a una verifica in tempi brevi (il 25,67%), il risultato politico non cambia. Della serie: vorrei, ma non posso. Civati ieri in un locale nelle zona universitaria sotto le Due Torri di fronte a un migliaio di militanti ed elettori Pd, l’ha ripetuto come un mantra: «Ci godrei moltissimo a votare no al governo Renzi, ma non è solo una questione personale». Poi scherza: «Mia mamma ha restituito la tessera del Pd e la mia compagna mi vede come il Tsipras della Brianza, resteranno deluse…».  L’intervento di Filippo Taddei, il civatiano responsabile economico della segreteria di Renzi, non lascia spazio al dissenso: «Chi non vota la fiducia è fuori dal Pd». Partono i fischi, Civati è piccato, ma chiede di smettere.

Poi sventola la bandiera dell’Ulivo sul palco: un omaggio a Romano Prodi.  Sandra Zampa, la ex portavoce del Professore e vicepresidente del Pd gli fa eco: «Si deve votare sì, non dobbiamo lasciare a Renzi e agli altri il partito. Siamo noi, ora, l’opposizione interna. Prodi? Dobbiamo tutelarlo».  Gli interventi in maggioranza seguono la linea del sì: «Non possiamo perderci nell’ennesimo partitino». I senatori ribelli Walter Tocci e Sergio Lo Giudice chiariscono: «Voteremo sì. Il Nuovo centrosinistra? Ci lavoreremo da subito». Tocci sdrammatizza: «Perché isolarci? Nel 1989 ho vissuto ben altri travagli del governo Renzi». Applausi. Ma la «base» riunita sotto le Due Torri è spaccata.  «Una minoranza nella minoranza», scandisce Annamaria Palladino da Andria. Su Twitter partono i primi siluri contro Civati: «Venduto», «Pippo non hai le palle». Il deputato Pd non ci sta: «Io le palle le ho. Ci vuole più coraggio a uscire o a restare? Io sono nella situazione peggiore: avrò contro il Pd, Sel e i 5 Stelle. Ora si deve pensare a un Nuovo centrosinistra guardando a Vendola e a Grillo per il dopo Renzi». Nel frattempo voterà la fiducia. Salvo una precisazione: «Personalmente l’ultima decisione la prenderò domani mattina». Ma ormai ogni possibilità di opposizione è seppellita. Ha vinto Renzi, un’altra volta.

Rosalba Carbutti

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