«Sacrificata al Minotauro», strillarono i giornali il giorno della sua morte. Era il 16 luglio 1997 quando Dora Maar arrivava al capolinea di una vita divisa inesorabilmente in due capitoli: prima e dopo Picasso. Lei, Dora, era una delle sue tante donne. Ma prima di avere la sventura di incontrarlo è stata una grande fotografa. Sarebbe potuta diventare celebre come Cartier Bresson, ma è rimasta incastrata nelle tele del genio, rappresentata come donna triste e mostrificata.

La rivincita per lei arriva solo oggi, in una mostra di sue fotografie a palazzo Fortuny a Venezia, dove si potrà scoprire il suo talento in cento opere uniche: scatti realizzati negli anni Trenta che ci raccontano di lei, «Dora Maar. Nonostante Picasso». Nonostante Picasso, appunto. Perché dal momento in cui Dora lo incontrò per lei tutto cominciò a prendere una piega diversa. In una rivoluzione interiore che la portò, finita la relazione, in una profonda depressione. Ma chi era Dora prima di Picasso? Un’intellettuale, un’artista, una bella donna mora, minuta, con un talento particolare per le fotografie. Henriette Theodora Markovitch (il vero nome di Dora) nasce nel 1907 in Croazia da Josip, architetto croato famoso in Sud America, e Julie Voisin, appartenente a una famiglia cattolica di Touraine, Francia. Cresce in Argentina, poi si trasferisce a Parigi. È una donna libera, di sinistra («ero molto più comunista di Picasso», dirà), le sue foto vengono pubblicate su riviste prestigiose come Madame Figaro. Espone all’Internazionale della fotografia di Bruxelles e alla mostra dello studio Saint-Jacques per la Constitution des Artistes Photographes. Lo scrittore e filosofo Georges Bataille la introduce nella cerchia dei surrealisti, dove conosce Breton, Eluard, Leiris, Man Ray.

Una carriera che promette luce, come le sue fotografie, ma che si spegne all’ombra del genio. Il primo incontro nel 1935 sul set del film Le crime de Monsieur Lange di Jean Renoir quando lei aveva 28 anni e Picasso 54, poi alla terrazza del caffè Les Deux-Magots a Saint-Germain-des-Prés, a Parigi. Dora è seduta, da sola. Indossa un paio di guanti bianchi e gioca con un coltello che infila tra un dito e l’altro, conficcando la lama nel legno del tavolo. Quando sbaglia mira, si taglia, e il guanto si sporca di sangue. Picasso si avvicina. Si parlano. Si conoscono. Dora diventa la sua amante. O, meglio, una delle sue tante amanti. Per lui si annullerà, impazzirà, cancellerà la sua carriera.  Ma sarà lui a spingerla a mettere in un cassetto il suo talento di fotografa. Perché è solo lui il genio. E solo lui decide chi amare, chi divorare e chi distruggere. Ogni donna finisce nei suoi ritratti, imprigionata da una magnifica ragnatela di segni da cui, come per Dora, sarà praticamente impossibile liberarsi. «Ho migliaia di suoi ritratti, me ne ha fatti migliaia. Ma nessuno è Dora Maar sono tutti Picasso», dirà poi.

Dora, del resto, per nove anni, si annulla nel suo amante. Nei suoi rari scatti dell’epoca, c’è Picasso mentre dipinge Guernica. C’è il genio in costume bianco sulla spiaggia con il viso coperto da un cranio di bue, diventato così il Minotauro e lei, la vittima, persa nel suo labirinto. E non è nemmeno l’unica. Il pittore ha tante donne, ce n’è pure una fissa, Marie-Thérèse, che ogni venerdì va a casa sua. Questa donna remissiva è l’opposto di Dora. Nei quadri del pittore Dora è la donna che piange, spigolosa. Marie-Thérèse è bianca e tonda. Dora non avrà figli (non ne può avere), mentre Marie-Thérèse darà alla luce Maya. Picasso, nel suo gioco perverso, le convocherà insieme nel suo studio. È il 1936, le due rivali arrivano a picchiarsi. Il genio, spietato, commenterà: «Uno dei ricordi più belli della mia vita». Ma in questo duello tutto amoroso, a perdere saranno in due. Marie-Thérèse finirà per impiccarsi, Dora, sostituita nella vita del suo amato dalla giovanissima pittrice Françoise Gilot, finirà in depressione.

Siamo negli anni ’40: Dora esce dal labirinto del Minotauro e si chiude in casa, in una sorta di esilio dell’anima. Non avrà più nessun uomo e si affiderà a una sorta di padre spirituale: l’analista Jacques Lacan. Il motivo, di questa rinuncia alla vita, lo spiega lei stessa: «Dopo Picasso, c’è solo Dio». Un Dio che, invece, di portarla in paradiso la cala direttamente all’inferno. La biografa di Dora, Victoria Combalía, ne ha messo insieme le memorie. I pensieri. I ricordi. L’ha incontrata dopo la fine della sua relazione con Picasso, negli anni Cinquanta e Sessanta. Dora non vede più praticamente nessuno. «L’incontro tra Picasso e Dora — sintetizza Combalìa — fu quello tra un sadico e una masochista». Ed è la stessa Dora ad ammetterlo con terribile lucidità: «Picasso non era il mio amante. Lui era solo il mio padrone». Il padrone non lo vedrà più. Lui, dopo essere stato lasciato da Francoise che gli darà altri due figli (Claude e Paloma), si sposerà con Jaqueline Roque e resterà con lei fino alla morte nel 1976.

Tredici anni dopo anche Jaqueline si toglierà la vita. Dora morirà nel 1997. Il suo patrimonio (centocinquanta tele ritrovate nella sua casa di Parigi, assieme a sculture, scatole di fiammiferi e tappi di bottiglia decorati da Picasso) è finito all’asta, mentre la sua storia rivive fino al 14 luglio a Venezia. Nelle sue fotografie. Nonostante Picasso.

Gli altri ritratti di donna li trovate qui

Rosalba Carbutti

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