Il voto in Emilia non può essere archiviato così come se niente fosse. La partecipazione non è secondaria come ha detto Renzi. La partecipazione è un avvertimento al premier, al Pd e ai partiti, compresi i 5 Stelle ormai percepiti come interni al sistema e non alternativi. Prima chi protestava votava i grillini, ora una parte sta a casa direttamente. E non è certamente un buon segnale. Renzi non può far spallucce. E non può nemmeno esultare al sì della Camera al suo Jobs Act, visto che una quarantina di deputati dem (a vario titolo, tra assenti, fuoriusciti dall’Aula e sparuti voti contrari) gli hanno voltato le spalle. Un numero di disagio che dev’essere considerato. Perché un conto è il no solitario di Civati, un altro il dissenso di una fetta così consistente. È ora di cambiare verso, per davvero. Sbandierare di essere di sinistra scrivendo una lettera a Repubblica non convince la frangia che nei valori di sinistra s’identifica per davvero. E disprezzare la Cgil, leggendo l’intervista a Susanna Camusso su Qn, non è stata una gran mossa soprattutto vedendo com’è andata alle urne. Infine, forse è il caso per il premier di evitare di fare lo ‘sborone’ twittando un 2 a 0 a sfregio dei tanti che non hanno votato. Il suo discorso migliore, per chi se lo ricorda, fu quello in cui ammise la sconfitta contro Bersani, alle primarie. Parole vere, autentiche che gli hanno permesso, poi, quando è stato il suo turno, di prendersi il partito. “Lui ha vinto, noi no. Se vinciamo è un noi, se perdiamo è un io”. Ecco, bastava ispirarsi a quelle parole lì per uscire da vincente qual è.